Ci sono 640 modi di interpretare questo universo parallelo a forma di auto. 640, come i cavalli di potenza. Ci sono l’aspetto emozionale, tecnico, antropologico, sociale. Quello mentale, serotoninico (da oggi si può dire), ingegneristico, fisico, nel senso che ne ignora le leggi. C’è il lato psichico, ostentativo, terapeutico, c’è l’effetto antidepressivo, maieutico, quello politico, il volto ecumenico.
È una questione di udito, tatto, olfatto. È una questione di vista, di quando la vai a ritirare e ne avverti la presenza, senza vederla ancora. Feromoni, bioritmi, non saprei. Lei è là dietro l’angolo del silos, chiusa, spenta, ma tu la senti sottopelle e ti parte l’accelerazione cardiaca, le farfalle nello stomaco, i respiri lunghi. Lo facciamo di notte, come ormai sapete: quando tutto è ulteriormente acuito. Quando il buio luccica, i suoni rimbombano, c’è questa arietta da fine estate che ti fa sentire al mare: tardi, granelli di sabbia sui lettini e sciabordii, non da solo. Non si è mai da soli in quei casi. Quelle sensazioni lì. Anche se sei a Milano.
Partiamo dal colore. Piacerebbe molto a Hamilton, che salutiamo. Anzi, potrebbe proprio essere di Lewis, che ama il viola, non disdegna apparire, è sensibile agli oggetti unici. Ma è un’altra rockstar che ci viene immediatamente in mente scrutando il viola, il viola con le linee fluo, tutto tanto, eccessivo, sfacciato. Mefistofelico. Il Joker! È la macchina del Joker.
Una nemesi da 325 orari di velocità massima. Non è psicopatica certo, e non ha nemmeno un senso dell’umorismo distorto e sadico come il nemico di Batman, ma in questa Milano notturna, quando acquattata si muove “in silenzio”, ti aspetteresti un mazzo di carte con i bordi taglienti apparire dal nulla.
Ok, calma: torniamo indietro. Accendiamola. Alzi la protezione giallo fluo, la griglia tech sopra il tasto a destra, schiacci start e, con un impercettibile ritardo, inizia il film. Sei a pochi centimetri da terra, il tunnel centrale è una colonna vertebrale di esagoni e rette. Display inclinato e lì sopra sette tasti imprigionati da otto semi anelli angolari: alzacristalli, sollevatore muso (ci torniamo), Esc, quattro frecce, assistente di parcheggio, start and stop.
Strumentazione nota, firma Lamborghini se ce n’è una. L’Alcantara sul volante è un’esperienza sensoriale, ancor di più in contrasto con il liscio della base, con il liscio delle razze. Molecolare. Il Toro qui davanti, il tasto rosso per le tre indoli – Strada, Sport, Corsa – le rientranze per stringere i pugni sulle dieci e dieci, i due paddle sovradimensionati. E poi questo cruscotto, con una parabola a indicare i giri motore e fare da aureola al numero di marcia, con temperature, pressioni, livelli, forza G (forza G, che trionfo), tutto in un Matrix da sesto millennio.
Per descrivere il suono celestiale del dieci cilindri servirebbero neologismi e figure retoriche, brachilogie e miti classici, ma mi prendereste per (ancora più) fulminato. Serve scendere allora, fare due passi lì dietro, zona scarichi, per non perdere quei decibel che latrano al minimo. Esagero? Beh, no. A giudicare dalla gioia disseminata urbi et orbi al suo passaggio. Come dicevamo? Ecumenico.
Esatto: lo stupore non risparmia nessuno. Facile immaginare l’emisfero maschile, tutti innamorati a prima vista – i ragazzi, gli uomini, i manager, gli studenti – di questa navicella spaziale purple. Ma si girano, si scuotono, sorridono entusiaste anche le bambine di dieci anni (“Papà, papà guarda!” gridava la piccola, con gli occhi a cuore, da dietro il dito puntato), le nonne (“Sal’è cus’è?!” cinguettava la signora in perfetto milanese, sorridendo esterrefatta, aggrappata alla borsetta tortora), le mamme (cristallizzata, testa inclinata, sopracciglia arcuate, tutta la vita che le passa davanti).
Incredibile, mai successo un bagno di folla del genere, e sì che con qualche macchinuccia da trecentomila euro (318.380 in questo caso, anche se la versione senza optional ne costa 237.500) ci è già capitato di girare in città, grazie a questo fantastico mestiere. “A bbbello” non ce l’avevano mai gridato per esempio delle liceali, né ci avevano mai fischiato dietro. Sarà il colore, sarà l’effetto wow come dicono i non giovani, ma lo sconquasso generalizzato che determina questa Huracán Tecnica “purple joy” non ha equivalenti.
Come sappiamo è a Sant’Agata che sono nati i colori accesi per le supercar, la Miura è stata la vera capostipite e niente fu più come prima. Fino a questo viola specchio, con il rimmel giallo fosforescente che, come detto, ammicca all’emisfero femminile: dall’estrattore, dalle minigonne, dagli specchi retrovisori, che solo loro sono da tenere lucidi sotto una teca, al Guggenheim della 5th Avenue.
Ma mi sto perdendo, comprensibile. Dei fischi delle ragazze abbiamo detto, degli “Sgasaaa fratello” dei ragazzi lo diciamo ora, così come di quel “Eh la Madonna” ululato da uno skater in zona Stazione Centrale. Sono tre auto da sogno in una: tre, come le modalità di guida. In Strada a 90 all’ora in settima a 2000 giri è quasi calma. Il cambio si ricorda bene di avere la doppia frizione e snocciola le marce che è un velluto, non le senti, scivolano via come un giaguaro che fa le fusa.
In automatico, concedetemelo, è quasi una berlina da città, in manuale idem: un tocco di paddle e cambi, uno e scali, tutto molto morbido, per niente ferino, non ci fosse il rombo di fondo che non fa dimenticare i 470 kW a 8000 giri. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel Paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Tasto rosso, tutta la vita.
Basta un click, qui sotto, alla base del volante. La metti in modalità Sport e si aprono i chakra. Lei si spettina, cola il rimmel, il timbro si fa roco. Eri convinto di conoscerla, non la conosci. Già in “A” la musica cambia, ma è troppo divertente il manuale per andare in automatico.
Paddle destro e vai su, un calcio ogni cambiata, un urlo incollato al successivo; paddle sinistro e scali, lei soffia, quando non tira dei colpi che sei convinto di esserti teletrasportato al Mille Laghi. Sbam! Ti avvicini a un tunnel, eccolo là: vai su apposta veloce, quinta, sesta, entri, tiri giù il finestrino, scali, quinta, quarta, terza, sbam!, l’intensità del botto è direttamente proporzionale all’ampiezza del sorriso che ti incartona la faccia. Ti guardi attorno, la gente non ci può credere, un ragazzo applaude, occhi sgranati. Questa Lambo diffonde felicità, è terapeutica.
Non può esserci di meglio e invece c’è. Click, la metti in Corsa. Resti nel paese delle meraviglie, moltiplicandole. Allunghi la gamba sinistra, fino al poggiapiede che fa molto posizione Formula 1. C’è ovviamente da restare nei limiti, che siano almeno 130, facciamo un salto in autostrada. L’accelerazione 50-130 ha dell’irreale. Pochi frame, non c’è nessuno, i polpastrelli volano sul paddle destro, un graffio in gola ogni cambiata. È una Formula 1 in tutto e per tutto. Il suono, i binari, lo sterzo, il sedile. Amletico se sia più eccitante il suono del rilascio in scalata o l’artigliata del cambio marcia.
Mentre siamo sempre ai superlativi assoluti per quanto riguarda l’impianto frenante carboceramico, tocchi il pedale e ci sono gli All Blacks – riserve comprese – che ti fanno da scudo, la sensazione di sicurezza è più o meno questa. Super racing, merito delle pastiglie senza rame. I sedili avvolgenti a guscio sono rigidi, molto rigidi, non è l’auto per lunghi viaggi divanati. È una purosangue, pesi al minimo, pochi fronzoli, niente leva interna per aprire la portiera, ma una fettuccia rossa di fianco alla maniglia in tessuto e telemetria – diamine, telemetria – dal display.
Segnatevi 1 e 6, 5 e 10, aggiungete 2 e 7 e per vedere i rimanenti quattro dovete andare lì dietro, in fondo al cofano motore, incastonato di placche spinali che neanche un tirannosauro maschio. Lì, c’è la targhetta magica, quella per i malati veri, che sognano tutte le notti Ferruccio Lamborghini che li invita a cena nella tenuta sul Lago Trasimeno. C’è scritto V10 ok, ma soprattutto c’è l’ordine di accensione dei cilindri: 1, 6, 5, 10, 2, 7, 3, 8, 4, 9. Amen.
Difficile percepire, scivolando lentamente su queste strade, le ruote posteriori sterzanti o l’assetto da pistaiola pura. Qui, ammirandola vanitosamente a ogni vetrina, apprezzi i dettagli: le pinze da MoMa, l’alettone posteriore da Trono di Spade, il tetto che è un tutt’uno tra cofano e coda, i cerchi, i dischi, gli specchi, la fibra di carbonio. Un profilo che è in movimento anche quando è fermo, un prodigio al quale perdoni i minimi difetti: visibilità posteriore e laterale, sedili duri, alzacristalli scomodo là in fondo.
Anche il muso da sollevare avvicinandosi a dossi troppo alti diventa una scusa per rallentare a beneficio di chi guarda, sgrana, sbanda. Lo sappiamo, è l’anello di congiunzione tra la Evo Rwd e la Super Trofeo Omologata, lo sappiamo è da prendere e andare in pista fin quando fa male, fin quando ce n’è, ma pure il nostro appuntamento al buio in città è stato di quelli difficili da dimenticare.
E con la trazione posteriore, togliendo i controlli e sgasando al via, ti senti Hugh Hefner all’after show con le ragazze, ma non si fa. Facciamo i bravi e ricordiamoci di queste ore feroci e fugaci. Tutto in una notte. E la conferma di essere fuori dall’ordinario te la dà il tempo trascorso nel box, una volta a casa: per le mille manovre certo, con l’incubo di graffiarla, ma anche per i minuti a osservarla, braccia conserte, da ogni angolazione, cullati dal ticchettio magnetico una volta spenta. Non è una macchina, è uno stato mentale, un trampolino per l’autostima, un millesimato di potenzialità. Le parli, scuoti la testa. Sorridi. Chiudi la saracinesca. I battiti ti sembrano un filo alti. Sono 640 al minuto.
Foto a cura di Carlo Di Giusto
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