Un tempo bastava immaginare un nome per associarlo a un intero universo automobilistico, di solito saldamente ancorato a valori precisi, rassicuranti, perfino granitici. Il nome Panda, per esempio, ha significato mobilità semplice e spietatamente razionale almeno dal 1980 al 2003, per poi identificare una cinque porte più evoluta e vivibile che ha conosciuto nel 2011 la sua ultima iterazione.
Però dal 2020, come una sorta di conseguenza della pandemia, non di Covid-19 ma di suv comparsi in ogni dove, tutto è cambiato: le forme della Panda Cross hanno impacchettato anche la meccanica a trazione anteriore, molti allestimenti si sono vestiti di un pizzico di grinta fuoristradistica, mentre quest’anno – quasi come uno sberleffo – si è consumata l’improbabile eliminazione della vera 4×4, proprio nel quarantesimo dell’originale.
Come commentare, invece, la “questione Dacia”? Fino al 2005, per la maggior parte degli italiani, al limite dello slancio cognitivo, il nome identificava una costruzione spersa nella campagna russa. Pochissimi sapevano che in Romania esisteva un costruttore omonimo, peraltro di proprietà Renault dal 1999.
Poi fece capolino la Logan, accolta con una miscela di curiosità e dileggio, seguita dalla Mcv che, invece, il mercato cominciò a premiare per la capienza. Infine, dal 2008, si sono avvicendate le molteplici Sandero.
Così oggi ci si ritrova a guidare una piccola auto che non solo saccheggia amabilmente molta tecnologia aggiornata dai francesi, ma accoglie anche in un abitacolo piacevole, convince i passanti per lo stile e, naturalmente, cavalca con destrezza l’onda delle “simil offroad” (che del resto fu fra le prime a fiutare). Anche in questo caso, con un listino non proprio impalpabile per chi è già costretto a confrontarsi con mutuo, bollette e altre spese quotidiane.
Il fronte economico, meglio chiarirlo subito, si staglia come un monolite sullo sfondo di qualunque considerazione in queste pagine. Ovvero: non si può discettare di una vettura come se costasse 10.000 euro quando invece le cifre reali s’impennano fin quasi al doppio. Qualunque pregio o difetto va inquadrato nell’ottica del prezzo.
Però il pubblico continua ad accordare enorme favore a entrambe le protagoniste del nostro servizio,
indipendentemente dall’entità degli assegni. E i due progetti scaricano sul consumatore una raffica notevole di differenze d’impostazione, che merita un approfondimento.
Anzitutto la romena con accento transalpino si rivela, anche all’occhiata distratta di un osservatore miope, più bassa, larga e, già dopo una breve esperienza di guida, telaisticamente più attuale dell’italiana (imbellettata all’ultimo grido sul vecchio pianale del 2003).
Ciò comporta per la Sandero maggior tenuta di strada, meno rollio e, grazie al tricilindrico turbo da 101 cv, molto più appagamento dinamico: quasi tre secondi rubati alla Panda nello 0-100 km/h e tanta coppia extra, disponibile appena sopra i 2000 giri anziché a 3500, raccontano tutto.
Non che la Stepway possa appropriarsi di qualsivoglia velleità aggressiva, anzi. Lo sterzo non convince (pur essendo molto migliore rispetto a certi comandi francesi di qualche anno fa) e, soprattutto, il cambio indulge in una fastidiosa tendenza all’impuntamento. Se frequentate spesso l’extraurbano, però, le doti stradali vi permetteranno di sverniciare ogni Panda, benché si scontino con un consumo più consistente di ben 7,4 l/100 km, quantomeno a gpl (premendo l’interruttore della benzina diventano 5,8).
La Fiat, dal canto suo, risponde con ingombri micidiali per la città, un puro antistress coadiuvato dall’“effetto piuma” dell’immarcescibile servosterzo con funzione City. Il tre cilindri a benzina aspirato, introdotto nel 2020 e assai più avanzato del precedente Fire, si avvale di un’elettrificazione leggera che non consente la marcia a emissioni zero: il motore a corrente fornisce appena 5 cv e può solo supportare il termico.
Ma vivacizza lo spunto e le riprese nel traffico, anche grazie alla trasmissione finalmente a sei marce, sebbene un po’ troppo ravvicinate. Peccato manchi del tutto l’automatico, disponibile invece sulla Sandero al pari dell’Extended Grip per i fondi difficili. Evidentemente, secondo la Fiat, il “pandista” medio deve confrontarsi solo col pavé bagnato. Quest’ultimo viene peraltro discretamente digerito dalle sospensioni, benché con meno nonchalance rispetto alla comoda Dacia.
Chi vuole, poi, può divertirsi con l’indicatore a tacche della carica della batteria, che induce a rilasciare spesso l’acceleratore della Panda: non a caso la “seteˮ dichiarata ufficialmente è contenuta in 4,9 l/100 km! Guidando così, poi, vengono smorzati i gorgheggi un po’ invadenti del propulsore ibrido. A proposito, quest’alimentazione rende l’italiana impermeabile ai limiti alla circolazione come gpl, ma senza problemi per i parcheggi sotterranei. Semmai sono le terze corsie in tangenziale, con soli 70 cv, a preoccupare un po’…
E la sicurezza? Se la Sandero offre di serie la frenata automatica d’emergenza o, in un pacchetto da 450 euro, i sensori di angolo morto, la Panda si affida con italico pragmatismo al buon senso del guidatore: niente adas. Inoltre, mentre la romena è riuscita a strappare due punti Euroncap nel 2021, l’altra resta a zero.
Basta avvicinarsi perché le frecce lampeggino e le porte si sblocchino. Si tratterà di un dettaglio irrilevante, per qualcuno, ma la chiave elettronica da tenere in tasca comporta un eccellente benvenuto, specie perché rientra nell’equipaggiamento di serie. Come sulla Extreme, versione di punta (già comperata in 3500 esemplari) della Stepway, che a sua volta è preferita nel 70% dei casi da chi sceglie una Sandero.
Ma è solo l’inizio: selleria in tessuto Tep, lavabile pur se un filo troppo asettica, schermo centrale ben congegnato con connettività Apple CarPlay e Android, ottima ergonomia. Tutto conosce il linguaggio dell’attualità, in questo abitacolo generoso. Unica “sgrammaticatura”, la croccante rigidità di alcune plastiche, compensata da finezze come la presa usb sistemata molto in alto per i cellulari fissati al parabrezza, per esempio.
Gli spazi si rivelano poi decisamente più accoglienti che sull’italiana, a partire dal bagagliaio: che mantiene una capacità di 328/1108 litri nonostante il doppio serbatoio. Come dicevamo, con 450 euro, il pack Safety aggiunge freno di stazionamento elettronico, sensori di parcheggio e angolo morto e bracciolo fra sedili. Perfetto. Ma se ci si vizia anche con una vernice speciale (700 euro), il prezzo tocca 18.950 euro.
L’accesso è all’insegna della massima essenzialità, con un telecomando che evoca ricordi di metà anni 2000, e trovare la propria posizione di guida può rivelarsi laborioso, perché il volante non si registra in profondità. La seduta che torreggia sulla strada e il cambio a portata di mano, per contro, piaceranno a molti. Oggi, poi, la Panda è arricchita da un display ampio, munito di usb e capace di collegarsi a tutti gli smartphone, che tuttavia ha silenziosamente sfrattato le bocchette centrali.
Per fortuna rimangono i molti portaoggetti, perfino sulle portiere posteriori, con menzione d’onore per la grossa tasca di fronte al passeggero. Così si perdona più facilmente la carenza di abitabilità rispetto alla Dacia, nonostante l’omologazione per cinque, e la capienza del baule contenuta in 225/870 litri. Il vero difetto dell’interno però è rappresentato da alcune rinunce… francescane: niente alzacristalli posteriori elettrici o climatizzatore automatico, neppure a richiesta, e volante in “schiumato” privo di rivestimento in pelle.
Sulla versione fotografata, non più in produzione, erano però curiosamente montati sedili riscaldabili e parabrezza termico, ma non i retrovisori elettrici! E con il metallizzato, la richiesta si spinge comunque a 19.100 euro.
Testo a cura di Silvio Jr. Suppa
Foto a cura di Wolfango
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