Testo di Marco Visani, fotografie Alessandro Olgiati
La guida all’acquisto è dedicata questo mese alla Range Rover. No, non dirlo, non pensarlo nemmeno. Questa non è l’antesignana, l’ispiratrice, la mamma − o come più ti piaccia chiamarla − delle suv. Non c’entra proprio niente. Le suv sono alte ma sono automobili ordinarie, tant’è che il più delle volte − oramai − hanno solo due ruote motrici. La Range Rover è invece una fuoristrada di quelle serie, capace di trarti d’impaccio da posti in cui è mediamente irragionevole avventurarsi.
Certo, ha un aspetto molto meno rurale di una Land o di una Campagnola, ma nella sostanza rimane un veicolo molto tecnico e specializzato. Ha il telaio a longheroni e traverse separate su cui la carrozzeria è imbullonata, due assali rigidi, quattro ruote motrici, le ridotte.
Ecco, rispetto alla parente Land Rover di diverso ha soprattutto che è un’integrale permanente, il che significa che in mezzo al tunnel, subito dietro la console centrale, troverai due leve invece che tre: quella del cambio e quella che innesta il riduttore (si attiva solo da fermi) mentre il tirante che sulla Land collega l’avantreno alla trasmissione qui non c’è, visto che le quattro ruote sono sempre in presa.
Tutt’al più puoi escludere il differenziale centrale. Come la Land ha una finezza non comune, per un’auto da mulattiera: a parte il cofano e la ribaltina posteriore, i pannelli di carrozzeria sono in alluminio (ottima notizia, vuol dire che non arrugginiscono).
Non è stata neppure la prima fuoristrada in assoluto con un look vagamente urbano. Qualcosa di simile era già esistito un decennio prima con la Jeep Wagoneer. Però la Range prima maniera, presentata a giugno 1970, ha saputo interpretare il tema in modo più creativo, con linee minimaliste e talmente moderne che oggi proprio non le daresti oltre mezzo secolo. La prima generazione è stata costruita fino al 1996, con evoluzioni all’apparenza poco significative.
La nostra “modella” è del 1983, e siccome è una tre porte (la “cinque” era arrivata nell’81) ha tutto lo charme delle origini, compresi gli sportelli lunghissimi che permettono di accomodarsi anche dietro con una certa facilità. Grande e imponente, suscita rispetto ancor oggi ma non è, quantomeno non nel senso letterale del termine, un’auto di lusso.
Certo, è molto più rifinita di una Land 88 ma è comunque un’auto relativamente cruda, con sedili in panno e vinilpelle e pochi fronzoli: il veicolo perfetto per gentiluomini di campagna, l’ideale assortimento su quattro ruote di una giacca in tweed e una camicia a scacchi.
Ho guidato la mia prima Range, una turbodiesel cinque porte, trent’anni fa. Me l’affidò il mio capo di allora, mollandomi le chiavi sulla scrivania senza dirmi nulla. Io presi la rampa autostradale guidandola come fosse una Golf. Per poco non me la misi per cappello. Te lo dico non per intendere che sia pericolosa − non lo è affatto − ma per farti capire che bisogna rispettarla affinché non lo diventi.
È altissima (pensa che il sedile è a 92 centimetri da terra), ha un’altezza minima dal suolo di 20 centimetri e le gomme tassellate, e con una maxispalla non sono proprio l’ideale per andare di fretta. L’autostrada la regge tranquillamente però è parecchio sensibile al vento laterale, soffre di una deriva notevole e non è quel che si dice un fulmine negli inserimenti in curva, essendo dotata di un avantreno più simile a quello di un camion che di un’automobile.
C’è un dettaglio seminascosto e affascinante, su questa Range: la doppia ventola del radiatore che s’intravede attraverso le griglie frontali. È il perfetto completamento della sinfonia del motore, un grosso V8 di origini americane: era nato Buick, poi aveva mosso le berline Rover della serie P6 (quelle con la ruota di scorta sul baule, te le ricordi?).
Il motore è una delle ragioni per cui dovresti comprarla. Hai voglia, a infarcire di turbo dei “motorini”: non c’è niente di più pastoso, pieno e vellutato di un otto cilindri con una valanga di centimetri cubi (3528, in questo caso). Elastico, vigoroso, con una coppia-monstre di 27 kgm (265 Nm) ad appena 2400 giri a fronte di una potenza, viceversa modesta, di 127 cavalli: perfetto per fare del fuoristrada ma anche per godersi un soffice viaggio autostradale in cui apprezzare la forza, più che la velocità.
Ti ho detto che se devi farci del fuoristrada impegnativo è perfetta ma… c’è un ma: l’angolo di uscita, di 30 gradi. Tradotto: ha uno sbalzo posteriore enorme e in certi passaggi stretti c’è il rischio molto concreto di grattare il terreno con la sporgenza di carrozzeria che sta dietro le ruote. Per il resto fa qualunque cosa, dal guadare mezzo metro al portarti su un tappeto di neve (se solo la neve si ricordasse di cadere, ogni tanto, al momento giusto).
Visto che siamo al capitolo difetti, ne ha un altro: consuma come una petroliera. A 100 all’ora è un miracolo se passa i cinque con un litro. Ma ci sarebbe da stupirsi del contrario.
Vuoi fare un figurone con gli esperti della prima Range? Impara a parlare di suffissi, cioè della lettera messa in fondo al numero di telaio: indica l’anno di produzione. Ma questo vale fino al 1978. Dal 1979 in poi c’è una stringa di 8 lettere e 9 numeri in successione. Ed è la penultima di queste lettere a identificare il periodo di costruzione.
Ulteriore complicazione: la A messa in quella posizione indica indistintamente tutti gli esemplari degli anni ’79/’84 (quindi anche la nostra, che è una 1983, ha la A); solo dal 1985 ricomincia la logica successione alfabetica. Un vero rompicapo (e proprio per questo abbiamo cercato di aiutarti).
Segreti del numero di telaio a parte, rispetto alla Range del ’70 una dell’83 ha strumentazione più completa, moquette sul tunnel e i fianchetti posteriori, doppio scarico, volante a quattro razze, scritte Range Rover piatte e adesive invece che in plastica e a rilievo, cantonali dei paraurti rinforzati. Conserva invece, per l’ultimo anno, il cambio a quattro sole marce.
C’è una cosa in comune, tra una fuoristrada e una sportiva: sia pure per ragioni diverse, sono entrambe spesso pasticciate. Le Range prima generazione sono sovente incomplete. Prive degli interni, soprattutto, e segnatamente, del divano posteriore, che veniva tolto per poter caricare e poi finiva ovunque tranne che al suo posto. Trovarne uno in pessime condizioni da ripristinare può arrivare a costare anche 2000 euro.
Attenzione anche alla plancia, spesso fessurata e come tale non recuperabile. La ruggine lavora con impegno sul vano piedi anteriore (lo riproducono) mentre il motore, dando per assodato che sia alimentato con due carburatori invertiti Zenith Stromberg CD2 originali e ben regolati, beh è poco meno che eterno. Insospettisciti, però, se svuotando la coppa dell’olio lo trovi particolarmente “morchioso”: è segno che, più che cambiato, è stato rabboccato. E questo potrebbe avere compromesso l’efficienza della lubrificazione, che arriva male alla coppia di cilindri più interni delle due bancate, quelli verso l’abitacolo.
Fai controllare l’alzata delle valvole per dirimere il dubbio. E non spaventarti: ne hanno fatte oltre 326 mila, segno che troverai quella giusta e che sono in tanti a conoscerla e a poterti dare una mano.
Un modello di metà anni 80 viene valutato correntemente circa 15 mila euro, ma è corretto pagarla anche oltre 20 mila se è in condizioni veramente perfette. Il fatto che in dieci anni la quotazione media nei principali mercati europei sia triplicata e che, nonostante questo, parliamo ancora di valori assolutamente “umani”, significa che è un ottimo affare, vista la tendenza alla crescita.
Solo per dovere di cronaca segnaliamo che due anni fa Parigi, durante l’asta di Artcurial organizzata durante Rétromobile, ne è stata battuta una (del 1975) per oltre 95 mila euro. Ma era appartenuta ad Alain Delon, e questo ovviamente fa una bella differenza.
Si tratta di un documento (e di uno strumento) essenziale per chiunque sia coinvolto nel mondo dei motori, soprattutto per l'acquisto di un veicolo usato
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