Fotografie Alessio Migliorini
Amicizia: per molti una lente attraverso cui intrepretare il mondo, imprescindibile e pregna di sfaccettature, talvolta pronta a germogliare tra gli essere umani apparentemente più distanti. Ma può qualificarsi quale leit motiv concettuale di un progetto su ruote, peraltro del tutto fuori dagli schemi? Osservando l’agile scultura d’acciaio di queste immagini, la risposta non può che sembrare affermativa. Nulla di quanto colpisce lo sguardo sarebbe mai stato imbastito senza la convergenza di due menti, due personalità assai diverse ma reciprocamente funzionali.
Per un verso, un nome eccellente del design automobilistico dell’epoca d’oro: Tom Tjaarda, classe 1934, americano di discendenza olandese. Autore fra l’altro della De Tomaso Pantera, di diverse proposte Ghia come il prototipo della prima Fiesta con Paolo Martin, di numerose elaborazioni sviluppate dal 1978 all’Advanced Design Studio di proprietà Fiat, che condussero oltretutto all’Autobianchi Y10 con la personalissima coda tronca.
Probabilmente non è nemmeno il caso di sottolineare che lo stilista rivestì anche un ruolo di punta in Pininfarina, ove si produsse nella concept d’eterno fascino Chevrolet Rondine, su base Corvette, e soprattutto nella sua edulcorata “derivazione” in ottica piemontese, quella Fiat 124 Sport Spider che pure assurse a un’originalità e a una carica visiva di livello assoluto, tale da rivaleggiare serenamente con la coeva Alfa Romeo “Duetto”.
Dall’altro lato, a muovere i fili generativi della Targa appare una figura inattesa, eppure davvero fondamentale: Filippo Disanto, avvocato torinese e attuale intestatario, che di Tjaarda rappresentava il “vecchio giovane amico”, come il creativo amava definirlo. I due si sono conosciuti molti anni prima dell’avvio dei lavori, quando il più piccolo è un tredicenne “cotto dai brufoli” che nel maestro, amico della zia, trova un riferimento.
Una guida al gusto, incline a prenderlo sul serio. Forse nel suo cervello di adolescente danza già un’idea di progettualità, perché dall’età di cinque anni colleziona chincaglierie e vecchi oggetti rugginosi per ripararli o capirne il funzionamento, guadagnandosi in famiglia l’appellativo vernacolare di feramiù, come i raccoglitori ambulanti di metallo.
Di certo, nel ragazzino si agita l’animo del fervido cultore di motori, al punto da implorare il padre di acquistare le anziane Ferrari in buone condizioni che la crisi energetica ha crudelmente spedito all’autodemolitore. Invano, purtroppo. Per il secondo incontro bisognerà attendere ancora gran tempo, il genere di salto cronologico che al cinema viene colmato con una lunga dissolvenza e una data esplicativa.
Stavolta Disanto ha compiuto 30 anni e guida una 124 aperta Blu Francia. La scintilla della complicità, ora accarezzata dal soffio di una maturità diversa, torna ad accendersi. La singolare, ma incisiva coppia intraprende lunghe discussioni motoristiche, viaggi conoscitivi, un insistito pellegrinare a fiere mostre convegni. Due cervelli che si alimentano a vicenda. Il meno avanti con gli anni comincia a proporre curiosi ragionamenti intorno a canoe, tende gonfiabili e altri oggetti innovativi che l’altro liquida con frequenti “lascia stare Filipo”, sorvolando su una consonante.
Al contempo, però, Tjaarda coglie nel compagno d’avventure, evidentemente assai più attratto dal design che dalle capziosità della legge, i segni di un certo talento. Afferma che sia dotato del dono della visualizzazione, ne paragona i comportamenti alla fattiva “stranezza” di Alejandro De Tomaso…
Nel 2008 i due amici avviano la scrittura di una biografia dello stilista, poi pubblicata. Ma l’occasione, sebbene non se ne abbia ufficialmente contezza, scivola forse nel ricordo di vecchi rimpianti, idee insoddisfacenti, orientamenti sviluppati male. Fra cui l’antico prototipo Chevrolet, che il suo papà concettuale avrebbe desiderato rivedere assai più fedelmente nella Fiat di serie, incappando però nel netto rifiuto dalla dirigenza Pininfarina per ragioni economiche.
Perché non provare dunque a “correggere” quella vettura nata impropria, restituendole in un certo qual modo la sua forma primigenia? Grazie all’entusiasmo di Disanto, che si è peraltro occupato di diverse lavorazioni artigianali, il sussulto d’orgoglio del disegnatore a riposo si muta in una splendida e unica concretizzazione fisica, la 124 Rondine del 2013.
Molto più che un restomod, la one off rappresenta una sorta di “restaurazione” dell’ordine naturale degli elementi, perfino nel propulsore potenziato (“La linea deve promettere quel che la meccanica può concedere” sostiene Tjaarda, criticando implicitamente la veemenza del 1.4 di primo equipaggiamento).
I consensi si rivelano unanimi e il duo gusta frequenti apparizioni sulla nuova, classica creatura, talvolta destando l’attenzione persino della platea dei giornalisti, finché anche la sorella Blu Francia viene colta in un servizio. Ciò stimola in Tom il desiderio di tramutarla in un ulteriore esemplare unico, senza compromessi, inizialmente denominato “Bomba”. La 124 spider definitiva.
Filipo, sulle prime orripilato al pensiero di stravolgere la sua impeccabile beniamina, percepisce tuttavia presto il potenziale dell’iniziativa. E un giorno, remando in canoa sotto il Ponte Isabella, a Torino, s’illumina immaginando una carrozzeria con rollbar strutturale e tetto e lunotto asportabili. “Nessuno me l’ha mai proposta in oltre 50 anni!” gli risponde l’altro, assentendo calorosamente. Si è appena avviata la genesi della Tjaarda Targa.
Ormai del tutto libera dalle insegne di Corso Marconi, la sportiva si arricchisce di un arco d’irrigidimento quantomai efficace e di elementi amovibili in plexiglas, da subito studiati per collocarsi nel bagagliaio (su precisa richiesta dell’esperto designer). Il profilo del padiglione, spiega Disanto, è tracciato tramite fil di ferro, come da tradizione, e con il contributo di un ex impiegato Bertone.
Assume un andamento unitario leggermente discendente, per aggirare l’effetto “segmentato” di altri esempi dalla medesima architettura, e si dimostra aerodinamicamente efficiente: “Volevamo creare un oggetto di design che sfidasse il vento”. Il risultato si dimostra talmente ben confezionato da confondere l’osservatore sulla possibile epoca di esecuzione. Con l’aggiunta delle identiche, impressionanti migliorie meccaniche della Rondine, fra cui i doppi scarichi, il motore ribassato per contenere l’altezza del baricentro e un’inedita scatola di sterzo, la riuscita stradale sorprende.
Tjaarda non ne giungerà mai a conoscenza, perché la malattia lo vincerà nel 2017, due anni prima della presentazione, benché immaginasse di fondare con Disanto una società a Dubai per “correggere” tutti i progetti mal compiuti. Il suo testamento, però, resta superbo. E può vantare un custode straordinario. Un vero amico.
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