Testo di Marco di Pietro. Fotografie: Wolfango
Quattroporte era l’auto che mancava. Una maestosa granturismo che inventava un nuovo segmento di mercato: quello delle superberline sportive che oggi è dominato dai marchi tedeschi Mercedes Amg e Bmw Motorsport e lascia solo le briciole a agli altri, Maserati Quattroporte compresa (che è giunta alla sesta generazione, ma è già annunciata la settima, che sarà solo elettrica).
All’inizio degli anni 60 i cumenda, i ricchi industriali per tradizione familiare o per successi imprenditoriali più recenti, i protagonisti del jet set e tutti gli altri potenti che popolavano la spensierata Italietta del boom economico non avevano alternative: o compravano una poderosa granturismo 2+2, oppure dovevano rassegnarsi a una appariscente berlinona americana, pinnuta, cromata e decisamente kitsch. La Quattroporte fu quindi la risposta vincente a una domanda di piccoli volumi, ma estremamente prestigiosa.
L’idea d’origine dell’ammiraglia ad alte prestazioni nacque dall’ispirazione di una mente fervida: Gino Rancati, maestro di giornalismo (anche per chi vi scrive, che si è forgiato nella professione con le correzioni a matita rossa e blu da lui vergate). In una delle sue molteplici felici intuizioni (Rancati fu anche colui che suggerì a Enzo Ferrari di chiamare F40 la hypercar dei 40 anni) un giorno disse a Omer Orsi, patron della marca del Tridente, che nel mercato mancava proprio una granturismo a quattro porte. Omer rispose sibillino: “Può darsi che un giorno la faremo noi”.
Tra il dire e il fare ci fu di mezzo un nonnulla: Maserati aveva a disposizione il favoloso e strapotente V8 della Sport 450 S che, opportunamente addomesticato, avrebbe fatto faville. Già utilizzato per la prima “super-Maserati” di piccola serie, la 5000 GT, cioè la più esclusiva di tutte le auto del Tridente destinate alla circolazione stradale. Era soprannominata “Scià di Persia” perché il primo esemplare fu realizzato appositamente per Reza Pahlavi, “sua maestà imperiale, il re dei re”, lo smisuratamente ricco padrone dell’Iran per eredità dinastica (però fu anche l’ultimo, detronizzato dalla rivoluzione khomeinista del 1979), nonché grandissimo appassionato di auto sportive, soprattutto italiane.
E che in quel periodo, nel 1958, era ancor più sotto le luci della ribalta della cronaca rosa per il suo divorzio dalla bellissima prima moglie Soraya, la “principessa triste”, a causa della sua impossibilità di concepire un erede per lo Scià. Alla prima 5000 GT destinata a Reza Pahlavi ne seguirono altre 31, carrozzate da Touring, Allemano (ben 21 sul totale), Frua, Monterosa, Ghia, Pininfarina e Vignale.
Per la Quattroporte (Tipo AM107) il lavoro di Giulio Alfieri, il progettista factotum della Maserati, era relativamente semplice: partire dal pianale della 3500 GT, allungarne il passo (fino a 275 cm, cioè 15 in più dell’originale), adattare la parte anteriore della scocca al grosso V8 a 4 alberi a camme, lavorare sul motore per renderlo adatto a un utilizzo meno esasperato attraverso la riduzione della cilindrata a 4,2 litri e definire lo stile, partendo dal design di una delle fuoriserie 5000 GT, quella inventata e costruita da Frua per sua altezza il principe Karim Aga Khan (colui che “inventò” la Costa Smeralda in Sardegna). La parte frontale della Quattroporte è infatti molto simile a quella della 5000 GT di Frua e il parabrezza molto avvolgente è quasi identico.
Il motore di 4136 cm³ sviluppava 260 cv a soli 5000 giri (tanto per fare un paragone, il motore da corsa d’origine della 450 S ne produceva 430 a 8000 giri), con una coppia eccellente già a 3000 giri. Era raffinatissimo anche il resto della meccanica: 4 freni a disco (impianto Dunlop), cambio ZF a 5 marce (in opzione un automatico Borg Warner a 3 rapporti), retrotreno De Dion, derivato direttamente dalla mitica 250 F che permise a Juan Manuel Fangio di conquistare il suo ultimo Mondiale di F1 nel 1957.
Il peso a vuoto era di 1650 kg, ma a pieno carico sfiorava le 2 tonnellate. Comunque la massa non influiva affatto sulle prestazioni: la prima Quattroporte raggiungeva una punta massima di 230 km/h, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 8 secondi, solo qualche decimo di più rispetto alle coupé avversarie di potenza similare. Insomma, sulle classiche tratte da Milano a Portofino, da Milano a Forte dei Marmi o da Roma alla Costiera Amalfitana la berlina Maserati la giocava ad armi pari con tutti. Aveva le stesse prestazioni delle contemporanee super sportive gt. Anzi, grazie al De Dion, stava molto meglio in strada e la presenza del motore montato in posizione anteriore, ma dietro le ruote e più verso l’abitacolo, contribuiva a un’eccellente distribuzione dei pesi.
Con l’aggiunta di un altissimo grado di comfort. Cinque persone prendevano posto comodamente in un abitacolo impreziosito dall’ampio uso di ebanisterie e di pelle Connolly. C’erano persino gli alzavetri elettrici (tutti e quattro) e, a richiesta, il servosterzo e l’aria condizionata (di serie sulla seconda serie). Tutti presenti sulla Quattroporte che vedete raffigurata in queste immagini, che descriveremo più avanti. Al debutto, al Salone di Torino del 1963 (in contemporanea con la Mistral, una sportiva a 2 posti che fu la prima Maserati col nome di un vento), venne annunciato un prezzo di 6.250.000 lire, 13 volte il prezzo della Fiat 500 D.
Il processo di fabbricazione prevedeva la costruzione della carrozzeria presso la torinese Maggiora (però i primi esemplari vennero assemblati nel piccolo stabilimento di Pietro Frua, che l’aveva disegnata e aveva allestito i prototipi), per poi passare alla verniciatura da Vignale. L’auto senza meccanica veniva inviata su bisarca a Modena, dove nello stabilimento Maserati di via Ciro Menotti veniva completata.
La Quattroporte riscosse un gran successo: divenne subito l’auto di personaggi in vista. Si possono citare, tra i tanti proprietari o utilizzatori, Marcello Mastroianni (che ne ebbe due, una 4.2 e una 4.7), Stewart Granger, Peter Ustinov (che l’ha usata fino alla fine dei suoi giorni perché era la sua auto preferita), Mario Del Monaco, Luciano Tajoli, il Conte Volpi di Misurata, il principe Ranieri di Monaco, l’Aga Khan, Raoul Gardini, Nils Liedholm, Sergio Leone, Virna Lisi e persino Alberto Sordi che, si dice, abbia avuto la facilitazione di un pagamento a rate, concesso da Omer Orsi in persona. Del resto l’Albertone nazionale era noto per la sua parsimonia e oculatezza nelle spese…
Infine, persino l’avversario più acerrimo del capitalismo, il capo dell’Unione Sovietica Leonid Brĕznev, ne ebbe una, regalata dal Partito Comunista Italiano. Sembra che Breznev non disdegnasse affatto il lusso della Quattroporte…
Nel 1966 apparve un lifting leggero, riconoscibile a prima vista dall’adozione dei quattro fari tondi al posto di quelli rettangolari, una necessità imposta dall’opportunità di esportare la Quattroporte negli Stati Uniti. Gli allestimenti interni diventarono ancora più lussuosi, con l’aria condizionata di serie, potendosi quindi fregiare del titolo di unica auto europea ad averla di default, assieme alle Rolls-Royce, ovviamente. Insomma, la Quattroporte nell’ultima parte della carriera diventava ancora più sibaritica, anche se dal punto di vista tecnico perse qualcosa: il ponte De Dion, infatti, lasciò il posto a un più tradizionale ponte rigido. Nel 1968 l’ultima novità: al motore 4.2 fu affiancato il 4.7 della Ghibli, con potenza di 290 cv, per un velocità di 245 km/h. Furono soltanto 75 gli esemplari con il V8 4.7, su una produzione complessiva di 762 unità dal 1963 al 1970.
La Maserati che appare in queste immagini è appunto una 4.7, di colore Rosso Cordoba (la sigla della tinta è Salchi 106R7), immatricolata a Roma nel luglio del 1969. L’auto, oltre che fregiarsi della targa originale, è completamente conservata: la vernice, tranne in alcune piccole parti, è quella stesa sulla carrozzeria in fabbrica 54 anni fa. Appartiene a un collezionista lombardo dal 2019, appassionato di grandi berline e ammiraglie sportive. La sua passione ebbe inizio con le Mercedes, per poi aggiungere Bmw e infine Maserati, di cui oggi possiede alcuni modelli (tra cui un paio di rarissime Quattroporte III serie Royale, una manuale e una automatica: considerando che ne sono state costruite soltanto 50, sono di un’esclusività assoluta).
La Quattroporte 4.7 Rosso Cordoba è conservata in uno stato eccezionale: merito anche del precedente proprietario, Gippo Salvetti, il fondatore dell’Alfa Blue Team, noto sodalizio a numero chiuso di soci, tutti rigorosamente Alfisti doc. Gippo è stato per tanti anni anche appassionato di Maserati 8 cilindri, cui ha dedicato un volume veramente gustoso intitolato “Tridenteottovu” (la cui lettura è assolutamente consigliata).
Questa Quattroporte è full optional e con cambio manuale (sempre ZF, ma di versione aggiornata rispetto alle 4.2). È una delle ultime 50 prodotte della Quattroporte Tipo AM107 ed è rimasta a Roma, nelle mani del primo proprietario e poi di un secondo, fino all’inizio degli anni 2000, quando venne acquistata da Salvetti. È matching number e il motore non è mai stato aperto. Il contachilometri riporta una percorrenza di 28.166 km che, presumibilmente, sono 128.166, dato che lo strumento è a sole 5 cifre. Ma complessivamente la percorrenza è modesta per un’auto di oltre mezzo secolo di vita.
E funziona come un orologio, ma questo è tipico delle Maserati dell’epoca: costruite con una cura e una precisione eccezionale e una qualità che i concorrenti non avvicinavano nemmeno lontanamente. E il motore V8 è tra i suoi aspetti migliori, perché è un vero mulo, infaticabile e indistruttibile. La Quattroporte prima serie appartiene al periodo migliore della Maserati dal punto di vista qualitativo: quello che va dalle prime produzioni di vera serie (la 3500 GT del 1957) alla fine degli anni 60, quando alla gestione della famiglia modenese subentrò la proprietà Citroën.
Dal punto di vista del valore commerciale odierno, la Quattroporte è in forte ripresa, dopo anni di quotazioni molto inferiori a quelle delle contemporanee granturismo a due porte. Un esemplare della rara versione 4.7 conservato in queste condizioni quasi eccezionali è valutato ormai cifre vicine ai 100.000 euro: tantissimo per una berlina a 4 sportelli, pur essendo l’antesignana di tutte le ammiraglie supersportive.
Ovviamente in termini di valore economico non sarà mai una Ghibli, la berlinetta gt più significativa della produzione del Tridente nella seconda metà degli anni 60, e forse nemmeno una Indy, la favolosa coupé 4 posti dello stesso periodo. Però, in quanto a esclusività e fascino, questa Quattroporte, che ha inaugurato la stirpe, ha davvero poco da invidiare alle altre.
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