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Lancia Appia Motto, segni particolari sopravvissuta

di Redazione - 17/08/2024

Testo e fotografie Edoardo Baj Macario

Ci sono auto che ti “seguono” per tutta una vita e c’è chi insegue le auto. Per esempio il modello per cui si nutre una passione sconfinata, pur abitando, magari, dall’altra parte del globo. In questo caso l’“inseguita” è la Lancia Appia Coupé carrozzata da Rocco Motto, all’inizio intraprendente battilastra di Torino che avvia la propria attività nel 1930.

I primi tempi realizza parti grezze di carrozzerie, ma dopo qualche anno passa all’assemblaggio di vetture complete e acquisisce maggiore autonomia nelle lavorazioni. Così, tra il 1946 e il 57, nascono numerose sportive in alluminio a sua firma. Oltre che sulle italiane, lavora anche sulle straniere. La famosa Delahaye 175 che vince il Rally di Montecarlo nel 1951, alcune Talbot-Lago e Renault e una Jaguar XK 150.

Passione Lancia, ma…

Il carrozziere torinese veste anche i due prototipi Cadillac La Salle II, coupé e roadster, del 1955. Ma l’opera più importante è di sicuro databile al 1960. Quando il designer americano Raymond Loewy, padre del logo Shell, dei pacchetti di sigarette Lucky Strike e della bottiglia del la Coca Cola, commissiona a Motto l’eccentrica Lancia Loraymo, di derivazione Flaminia con meccanica elaborata Nardi.

Dal 1962 la carrozzeria, gestita dal figlio Franco, si dedica alla produzione di caravan e veicoli commerciali. Rocco Motto scompare nel 1966 a 92 anni. L’incontro con la sua Appia numero 10, con il telaio 812.01-1031 prodotto nel maggio 1957, avviene nella primavera 2021. In quel periodo chi scrive lavora in una casa di vendite all’incanto e viene raggiunto dalla chiamata del capo dipartimento. “Abbiamo un gioiellino per la prossima asta: una Lancia Appia carrozzata Motto, che si trova vicino Erba. Vai a fotografarla, ma non so se va in moto”.

L’inizio della storia

La piccola gt riposa in un casolare di campagna accanto a una povera 124 Spider ricoperta da scatole della Polistil. Scattiamo le immagini del ritrovamento e la vettura rivede la luce del sole dopo 20 anni. Ovviamente non si accende, ma per fortuna i freni non sono bloccati e può essere spinta all’aperto e al bel caldo umido tipico della zona.

Alla prima occhiata affascina: certo, non può vantare lo stile favoloso della Zagato, ma ha una sua personalità. Ricomparirà all’asta a Imola qualche mese dopo. Durante la vendita, arriva dall’Australia un interessante bid da un collezionista di sole Appia, a cui ovviamente questo esemplare non poteva mancare. Così si passa alla fase successiva. Il nuovo acquisto prende la via di Arcugnano, nelle valli sopra Vicenza, dove la famiglia Giro, con papà Alessandro e il figlio Andrea, inizia il restauro.

L’auto, come si sa, deve il suo nome alla strada romana che collegava Roma a Brindisi e fu voluta dal console Appio nel IV secolo aC. L’Appia della Lancia, invece, debutta nel 1953 e a partire dalla seconda serie del 56 diventa disponibile per le trasformazioni. La Casa di Chivasso fornisce 13 telai ai carrozzieri che si sbizzarriscono. Risultato? Un successo di vendite, tanto da prolungare l’operazione.

Lancia Appia, sono tutte speciali

Queste realizzazioni speciali, meglio conosciute come “fuoriserie”, sono punzonate con il numero 812 e potevano essere equipaggiate con due motori: quello di serie, sigla 01, e il più potente 53 cv, sigla 02 (le Motto sono “01”). Dati non ufficiali riportano una produzione totale di 21 Appia fuoriserie. I pianali destinati alla Carrozzeria Motto sarebbero invece 25, ma vengono effettivamente allestite solo 10 rappresentanti della specie.

Tutte sono, come le Zagato, destinate all’uso prettamente sportivo. Una si classifica sesta nella classe 1100 Gran Turismo alla 1000 Miglia 1957. Un altro esemplare, di cui però non si conosce l’esatto numero di telaio, partecipa sempre nello stesso anno alla Coppa Intereuropa e alla Trieste-Opicina. Nella gara friulana, come si evince dai registri delle corse, sono addirittura due le unità presenti, la n. 96 con Lucio Mantovani e la n. 94 con Mario Enrico Coda. Quest’ultimo, inoltre, nel 57 partecipa ancora ad altre gare sempre con la sua Appia Motto.

Lancia Appia Motto, soltanto lei

Il telaio 812.01-1031 ritratto in queste foto dovrebbe essere l’unico sopravvissuto e giunto fino a noi. La cifra 010 stampata nel vano motore, poco sopra il numero di telaio, lascia intendere che sia anche l’ultimo su cui il Carrozziere ha lavorato. L’auto viene acquistata già sottoposta a un primo restauro nel 1993, da un italiano che la utilizza soprattutto nelle gare di regolarità lombarde, tra cui una Winter Marathon.

Nonostante le origini piemontesi, dallo studio della cronologia dei documenti risulta che questa Lancia sia sempre rimasta in Lombardia, tra Sondrio, Como e Milano. Nel 2003 l’oblio: viene coperta con un telo, parcheggiata e non più utilizzata fino al ritrovamento che la consegna a un nuovo e attento ripristino, portato a buon fine tra il 2022 e il 23.

Restauro certosino

Si tratta di un’opera radicale, a iniziare dalla carrozzeria sverniciata ad acqua e riverniciata in un rosso conforme alle specifiche dell’epoca. Le parti in acciaio sono ricromate mentre quelle in alluminio vengono lucidate. Tra i componenti esterni, molto tempo è dedicato alla calandra con la sua griglia, un pezzo delicato perché ovviamente artigianale e di pressoché impossibile reperibilità, come anche i due piccoli fregi Motto sulle fiancate.

Naturalmente tutta la meccanica beneficia di interventi altrettanto incisivi. Il propulsore guadagna nuovi pistoni e altri componenti in sostituzione di quelli usurati, la sua “voce” viene migliorata grazie a un collettore di scarico 4 in 1 Faccetti, mentre il possente carburatore doppio corpo Weber 36Dcld3 (uguale a uno dei due che equipaggiano la Fiat 8V del 1952) viene interamente revisionato, al pari di avantreno e retrotreno.

All’interno viene rifatto il cielo con tessuto dell’epoca, il resto è mantenuto. Secondo Andrea Giro i sedili sono stati riprodotti alla fine degli anni 80, forse nel precedente restauro. I cristalli, tutti con il loro timbro originale, vengono semplicemente rimontati.

Si giunge al traguardo

Nella primavera del 2023 l’Appia è finalmente terminata e la ritroviamo in splendida forma nelle valli vicentine del lago di Fimon. Fa bella mostra di sé nel bellissimo ufficio della famiglia Giro, un ex mulino rinnovato, ed è pronta a uscire in strada dopo tanto tempo. Andrea sale a bordo, tira l’aria e il quattro cilindri inizia a cantare con il tipico borbottare delle Lancia da competizione. “Il nuovo proprietario ha chiesto che fosse più rumorosa possibile”, spiega.

Si parte: prima, seconda, terza… il nostro “pilota”, abituato fin da piccolo alle auto d’epoca, ingrana con disinvoltura le marce della piccola gt, che si muove agile sulle colline. “Alla guida è un fuscello, abbastanza precisa per la sua età e anche bella reattiva, l’ideale per le gare lunghe”, si entusiasma, mentre sterza convinto impugnando il Nardi a tre razze “voluto apposta dal nuovo possessore”. L’interno è un po’ al limite se si è alti un metro e 92, come chi scrive, e al primo dosso si rischia di prendere una testata contro il tetto.

Appena può Andrea tira il quattro cilindri, noi cerchiamo la maniglia della suocera – che non c’è – e scivoliamo ai lati del piccolo Recaro. “Dài, vado piano che ti te vedo un po’ spasemà”, dice in dialetto mentre cerchiamo di “fissarci” sul sedile. Durante la prova apprezziamo sia il rombo del motore sia la discreta abitabilità (se si esclude l’altezza). “Sì, in effetti è abbastanza confortevole per una gara di regolarità”, dice il nostro compagno, che dopo poco esclama: “Orco can, la pompa dei freni!” aggiungendo, per fortuna: “Non ti preoccupare, ho fatto tutta una 1000 Miglia senza freni!”. E infatti arriviamo a casa sani e salvi.

Altro che rumore!

Durante il giro ci si rende conto di quanto l’auto sia rumorosa nonostante i suoi 38 cavalli: un “baccano” favoloso, tranne che per gli allevatori e le loro mucche impaurite. La Motto riceve gli apprezzamenti di tutti, ma la soddisfazione più grande arriva da due ragazzi di 17 anni in sella a due Ktm 250 smarmittati, che si fermano, spengono la moto, ammirano e ci fanno i complimenti.

La settimana successiva risentiamo Andrea: “Era anche scarburata! Non le eravamo simpatici! Adesso però è tutto ok”. Ciao “Appietta” , porta il tuo rombo tra i canguri dell’Australia, chissà se un giorno ci rivedremo.

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