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La De Tomaso Pantera che correva in pista

di Redazione - 02/11/2024

La De Tomaso Pantera che correva in pista

Nel 1971 il visionario argentino Alejandro De Tomaso costruì la versione da gara della Pantera, derivata dal modello stradale lanciato l’anno precedente e disegnato da Tom Tjaarda. La vettura da corsa venne preparata per il Gr. 4, la nuova categoria Fia riservata alle vetture gran turismo.

La De Tomaso Pantera che correva in pista

La base era il telaio tipo 874A, che fu alleggerito con un grosso lavoro di perforazione delle lamiere, mentre alla scocca furono applicate sospensioni ribassate con ammortizzatori Koni regolabili e vennero installati dischi freno maggiorati autoventilanti della Lockheed, cerchi Campagnolo in magnesio da 15” all’anteriore e da 14” al posteriore (con canale da 10”) e, per finire, due serbatoi di benzina da 60 litri.

La struttura della carrozzeria rimase in acciaio, vennero rivettati passaruota allargati, mentre cofani e portiere erano in lega di alluminio. La vettura risultò leggerissima: solo 1100 kg e questo preoccupò non poco la Porsche, che tramite i suoi agganci in Fia fece innalzare il peso minimo di regolamento a 1250 kg, riuscendo così a tarpare le ali, nel vero senso della parola, alla vettura italo argentina.

De Tomaso Pantera Gr.4, ingerenze a Stelle e Strisce

Il motore non abbandonò la sua origine americana: il V8 Ford Boss 351 da 5,7 litri, elaborato da Bud Moore. Il possente propulsore conobbe tre stage di potenza: il primo era da 440 cv mentre il secondo, preparato per la 24 Ore di Le Mans, ne sviluppava 470 e spingeva la “Panterona” a 302 km/h, come riportato anche in pubblicità dalla Casa modenese.

La De Tomaso Pantera che correva in pista

Il terzo stage, invece, venne sviluppato direttamente dalla De Tomaso. La Casa madre, infatti, dal 1973 cominciò a preparare in proprio i motori da competizione e l’elaborazione comprendeva anche la lubrificazione a carter secco (omologata ma mai montata sulle Pantera Gr.4).

La De Tomaso Pantera che correva in pista

L’otto cilindri sviluppato a Modena aveva la distribuzione monoalbero ed era alimentato da quattro carburatori doppio corpo Weber 48 Ida al posto del carburatore singolo quadricorpo Holley Racing 1150 Cfm delle prime Pantera Gr. 4. Le modifiche interessarono anche l’albero motore, le teste (mantenendo il rapporto di compressione a 12:1) e vennero installati bielle specifiche e un nuovo sistema di scarico. Dopo questi interventi in totale si arrivava a 490 cv e proprio la grande potenza richiese una frizione rinforzata del cambio ZF manuale a 5 marce.

L’inverno porta consiglio

La produzione delle Pantera da corsa iniziò il 12 dicembre 1971 con il telaio n. 2263 e terminò il 22 dicembre 1972 con il telaio n. 2874. Furono realizzati sei esemplari di Gt. 4, omologabili anche per uso stradale, e otto di Gr. 4, riservati alle competizioni. Tutte furono vendute a team e piloti privati – André Wicky Racing Team, Herbert Muller, Vincenzo “Pooky” Cazzago, Aldo “Alval” Valtellina – e ai concessionari europei della De Tomaso per la Spagna, la Francia e il Belgio.

La De Tomaso Pantera che correva in pista

Una piccola divagazione per completare la saga delle Pantera da corsa: già nel 1972 la produzione di serie toccò i 300 esemplari e la vettura diventò omologabile per il Gr. 3. In questo caso gli esemplari si differenziavano esteticamente per i cofani neri e l’assenza dei passaruota allargati, mentre il motore V8 era depotenziato a 330 cavalli. Nel 1976 con l’adozione del nuovo regolamento Fia Gr. 5, molte Gr. 3 e Gr. 4 vennero trasformate in Gr. 5, come nel caso dell’esemplare di Sala e Marverti (telaio n. 1603), che corse negli Stati Uniti (e con telaio ripunzonato 001).

De Tomaso Pantera Gr.4, facciamo il punto

Ma torniamo alla Gr. 4, che già agli inizi della sua carriera agonistica dimostrò di essere molto veloce: nelle prove ufficiali di Le Mans, il 19 marzo 1972, l’esemplare della scuderia spagnola Montjuich, con Herbert Müller e Mike Parkes (telaio n. 2263), realizzò il quinto miglior tempo assoluto, e il primo di classe.

Ma il vero battesimo del fuoco in gara avvenne in Francia, a Monthléry, nell’aprile 1972 durante il Fia European Trophy for Grand Touring Cars: la Pantera guidata da Jean-Marie Jacquemine, della squadra belga di Claude Dubois, terminò la gara al secondo posto assoluto. La nostra protagonista, con telaio n. 2873, è stata invece costruita nel dicembre 1972 e acquistata dal Jolly Club, ma fu seguita sui campi di gara direttamente dalla De Tomaso.

Il debutto fu tormentato e ritardato. A Imola, nel giugno del 1973, in occasione della tappa del campionato Euro GT denominata “Conchiglia d’oro Shell”, il pilota emiliano Mario Casoni non prese parte alla gara vera e propria per problemi al motore. E lo stesso accadde due settimane dopo in Belgio, a Nivelles, il circuito ex sede del GP del Belgio ora smantellato, dove Casoni non scese neppure in pista ancora per un problema al motore nonostante il super lavoro dei meccanici della De Tomaso fino a notte fonda.

Ma a fine agosto, a Hockenheim, e sempre nell’ambito dell’Euro GT, la Pantera col telaio 2873 finalmente poté partecipare e tagliò il traguardo in quinta posizione in gara 1, anche se poi dovette ritirarsi in gara 2. Da notare che entrambe le gare vennero vinte da un’altra Pantera Gr. 4, quella del Wicky Racing Team, pilotata da Clay Regazzoni. E a settembre, nella tappa di Monza, Casoni centrò la pole position nelle prove del sabato, fermando il cronometro in 1’40”: purtroppo, però, l’ottimo risultato non si ripeté in gara, che si concluse
con un ritiro.

Il Bel Paese porta fortuna

Ma proprio in Italia la “nostra” Pantera iniziò a essere molto competitiva, perché dopo Monza Casoni salì sul gradino più alto del podio a Casale Monferrato, in occasione del Trofeo “Città dei Mille”. Il gran finale della stagione 1973, però, fu rappresentato dal Giro d’Italia automobilistico, dove Mario Casoni e Raffaele Minganti arrivarono per primi al traguardo sulla pedana di premiazione a Torino, rovinando non poco la festa alla Lancia, che aveva schierato due Stratos, entrambe ritirate per problemi al motore (sia due sia a quattro valvole).

Nel 1974 la vettura col telaio n. 2873 venne venduta dal Jolly Club a Odoardo Govoni, cugino di Casoni, che la guidò fino al 1982 su tutte le piste italiane e partecipò anche a quasi tutte le edizioni del Giro d’Italia fino al 1980, vincendo tra l’altro il Gr. 4 nel 1974. Ma l’auto prese parte anche alla Targa Florio del 1975, con l’equipaggio composto da Govoni e Ruggero Parpinelli, che concluse in ottava posizione assoluta.

Govoni si separò dalla Pantera solo nel 1982 vendendola al ravennate Walter Zaffi, il quale utilizzò l’auto per alcune gare in salita insieme a Luigi Moreschi. Oggi la vettura appartiene a Pietro Silva, campione juniores di rally nel 1976, poi, in ambito nautico, campione mondiale, europeo e italiano di offshore nel 1981, e successivamente protagonista nelle gare di durata in Gr. C.

Silva acquistò la Pantera nel 1999 da Zaffi e poco dopo fece restaurare la meccanica da uno specialista di Modena dedito solo ai V8 d’oltreoceano e ai V12 di Sant’Agata e conosciuto con il soprannome de “il Drago”, mentre la carrozzeria subì un restauro tra Mantova e la Ebimotors, in provincia di Como. Oggi il titolare della scuderia comasca Enrico Borghi fa correre l’auto nelle gare storiche con la sua squadra Ebimotors Classic. A volte rimettendola proprio nelle mani di Mario Casoni.

Una storia ricca di aneddoti

Nel corso degli anni, però, Pietro Silva ha voluto ricostruire la storia della sua Pantera, recuperando tutti gli articoli apparsi all’epoca su Autosprint e anche un documento importante come la Fiche Fia del 1999 con il numero di telaio. Ma Silva conserva anche un altro documento, molto interessante e splendidamente conservato su carta intestata della De Tomaso: il certificato d’origine datato e timbrato risalente al 1972.

Silva ce lo ha mostrato, chiedendoci però di non fotografarlo per paura che i falsari possano provare a riprodurlo. E durante il nostro incontro sono emersi aneddoti gustosi. Per esempio, il nomignolo di “Pantera Rosa” venne attribuito all’auto da Marcello Sabbatini, direttore di Autosprint, per la vittoria al Giro D’Italia del 1973. E la livrea attuale è proprio una replica fedele di quella utilizzata nella circostanza vincente.

Mentre la striscia tricolore sul cofano è stata una scelta dell’allora patron del Jolly Club, il mitico Roberto Angiolini. Apriamo il vano motore, enorme, e ammiriamo il V8 (denominato anche Cleveland per il luogo dove veniva prodotto) che dorme tranquillo. Enrico Borghi, che negli anni 80 è stato “capomacchina” nelle scuderie di Formula 1 Alfa Romeo e Benetton, ci indica il prezioso intreccio di tubi di scarico “8 in 2”: una soluzione adottata solo su poche Pantera Gr. 4 e di ispirazione Ford GT40.

E tra i dettagli osserviamo il dettaglio della scritta De Tomaso impressa sul monoblocco al posto di quella Ford, mentre scendendo con lo sguardo notiamo che sul gruppo della trasmissione il monogramma ZF è al contrario. Perché, ci spiega lo stesso Borghi, tutto il gruppo cambio/differenziale è girato di 180° rispetto alla disposizione originale.

De Tomaso Pantera Gr.4, al cuor non si comanda

A cofano motore aperto, Silva accarezza la parte laterale del vano e ci fa notare la lamiera liscia, senza rivestimenti insonorizzanti. Passiamo all’interno dove l’attenzione non può che essere catalizzata dai leveraggi del cambio a vista sul pavimento dell’abitacolo. Silva fa notare i fori sulla scatola dov’è montata la leva, ricavati per risparmiare peso e migliorare il raffreddamento della trasmissione. E lo stesso, racconta, avveniva per i longheroni, forati anch’essi per alleggerire la Pantera.

Mario Casoni diceva di questa Pantera: “È sorprendentemente maneggevole a dispetto delle sue dimensioni e questo è stato un po’ il segreto della vittoria al Giro d’Italia: tanti cavalli e una grande agilità. Bisognava solo fare attenzione che la carrozzeria non toccasse muri o altro e la Pantera scorreva via verso la vittoria, grazie anche allo sterzo, che era uno dei componenti migliori della Gr. 4: preciso, rapido e anche piuttosto leggero in manovra”. E aggiungeva: “Il grande propulsore americano, invece, è molto rumoroso e ha potenza in abbondanza; non serve andare oltre i 6000 giri, perché i cavalli disponibili sono sufficienti a spingerla molto forte anche senza andare in zona rossa, mentre il bilanciamento della frenata è un po’ troppo sul posteriore e il cambio non è rapidissimo”.

Ma la storia della nostra “Pantera Rosa” è affascinante anche per altri aspetti curiosi. Per esempio, lo scorso anno, un modellino elettrico per autopista con le sue sembianze e anche il n. 457 ha partecipato al 14° Giro d’Italia versione “slot” (ideato da un gruppo di modellisti di Verona e articolato in due tappe e otto gare) tagliando il traguardo in quarta posizione.

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