Testo e fotografie di Andrea Ceccarelli
“Sono Franco Rodeghiero, elettrauto: mi occupo di vetture storiche e sono figlio d’arte”.
È più forte di lui: quando si presenta sembra una pubblicità televisiva dei tempi moderni e ci contagia subito con la sua irresistibile simpatia. Classe 53, sguardo attento, marcata cadenza veneta – siamo a Schio, in provincia di Vicenza – e pizzetto da alpino, che in questo territorio è un marchio di fabbrica, Franco è l’erede di una lunga dinastia di elettrauto. Lo sono stati il nonno e il padre, nella cui officina ha mosso i primissimi passi. E da pochi anni lo è anche il figlio Marco, specializzatosi nella ricostruzione e nel ripristino di strumentazioni e accessori elettrici delle auto d’epoca.
“Questi componenti rappresentano un aspetto molto delicato di un restauro, sottovalutato da tanti. Sistemarli è un lavoro che deve essere svolto in attenta sinergia con gli altri artigiani della filiera: col motorista e col carrozziere può capitare di dover modificare un parafiamma, per esempio, perché in origine il cablaggio passava in tutt’altro posto, così come succede di dover tarare più volte gli spinterogeni o i sistemi di accensione, una volta installati. Al banco funziona sempre tutto, ma poi nella realtà intervengono tanti fattori: temperature elevate, pressione, torsioni e vibrazioni, tutte cose presenti tanto sulle auto ‘terrene’ quanto su quelle da milioni di euro”, spiega Franco.
Famoso in tutto il mondo per la maniacale ricerca di ogni tipo di documentazione prima di iniziare un lavoro, sul suo viso si disegna un’espressione di amarezza quando pensa a come sia cambiato il rapporto di collaborazione con i proprietari: “Sempre più spesso abbiamo a che fare con gli intermediari. La relazione diretta con il cliente, come un tempo, praticamente non c’è più”.
“Sono sempre stato un grande appassionato delle vicende industriali delle case oltre che di meccanica, e ho trovato affascinante studiare anche sulla carta l’evoluzione delle automobili. All’atto pratico, dopo quasi 50 anni continuo a seguire gli insegnamenti di mio padre, fra cui uno in particolare che rimane fondamentale: nel restauro di un veicolo d’epoca bisogna prima di tutto cercare di riparare, sostituendo un pezzo solo quando non se ne può fare a meno”.
In quasi mezzo secolo ha “rimesso in moto” oltre 800 vetture e, parlando del passato, tiene a sottolineare la netta distinzione fra il mercato degli inizi e quello odierno.
“Ci sono due parti della mia carriera che rispecchiano fedelmente il mutamento della domanda. Per molti anni l’interesse si è concentrato sui modelli precedenti la Seconda Guerra mondiale, fra cui Alfa Romeo, Lancia, Bianchi o Fiat, per spostarsi oggi in maniera decisa su quelli degli anni 50 e 60, specialmente Ferrari, Maserati, Lamborghini. Restaurare i primi dava una soddisfazione enorme, perché erano costruiti a mano e riparabili nello stesso modo. Riguardo ai secondi, la soddisfazione c’è, ma è di gran lunga inferiore a motivo del contributo delle macchine utensili e del fatto che le informazioni tecniche si possano reperire più facilmente. Le auto dagli anni 20 ai 50 rimangono la mia passione, le trovo più vere, più genuine!”.
Ci sembra di capire che lei preferisca il restauro conservativo a quello “migliorativo”.
“Senza dubbio! Vado in crisi quando vedo un esemplare tutto bello luccicante a restauro finito, penso a com’era prima, con le sue piccole crepe, l’aria vissuta… tutto perduto. Non è più una testimonianza storica della sua vita e dei piloti che l’hanno guidato. Sono gli acquirenti a volere così, perché influenzati da una tendenza che viene dagli Stati Uniti, dove si punta a rendere una macchina più bella di com’era in origine. E poi ci sono le quotazioni stratosferiche raggiunte da certe storiche degli anni 50 e 60: è quasi naturale che il proprietario perda di vista il restauro autentico, se l’investimento è così elevato si pretende che il risultato sia perfetto”.
“Solitamente sì, ci aiutano dove possono con i materiali originali. Ferrari, Maserati o Alfa Romeo ci passano i disegni, gli schemi quando è possibile, anche le immagini fotografiche dell’epoca se ne sono in possesso, in modo che si possa ricavarne i particolari per il lavoro”.
“Sulle vetture considerate ‘speciali’, pezzi unici o quasi, si ha la fortuna di essere più liberi. Non essendo vincolati dalla produzione di serie, c’è più spazio per l’interpretazione delle peculiarità della carrozzeria in esame, che magari risponde a un nome importante come Pininfarina, Farina, Touring. Per ottenere un risultato impeccabile bisogna conoscere i gusti, le tendenze, i dettagli che ognuna di queste realtà si era inventata per creare modelli diversi dagli altri e caratterizzati da componenti specifiche”.
All’interno dell’azienda, che conta tre collaboratori fissi, si è inserito otto anni fa il figlio Marco, animato da una passione travolgente per strumentazioni, interruttori, fanalerie, e tutto ciò che viene alimentato a 12 Volt.
“Io ho cominciato sin da bambino a seguire l’esempio della famiglia. Mio figlio invece ha iniziato quando era appena maggiorenne, ma da quel che vedo sta recuperando a grandi passi. Mi reputo molto fortunato e sono felice perché si sta impegnando a fondo per imparare a gestire tutto”, afferma Franco con orgoglio. Per il più giovane dei Rodeghiero non è facile raccogliere quest’eredità, ma ci racconta con grande umiltà cosa significa questo impegno.
“Se penso a quello che papà custodisce nella sua testa, forte di un’esperienza cinquantennale, mi assale un’ansia da prestazione che non uscirei neanche di casa! Il problema è che assimilare le conoscenze necessarie per occuparsi di una macchina intera è praticamente impossibile in pochi anni, così mio padre all’inizio mi ha chiesto quale strada preferissi percorrere e io gli ho indicato quella degli strumenti e degli accessori elettrici. Siamo in pochi, in tutto il mondo, a restaurarli e ricostruirli, visto che la maggior parte dei nostri colleghi si limita alla pulizia e all’ingrassaggio degli elementi. Creare da zero i singoli componenti fisici, invece, è davvero un altro lavoro”.
“Dove è possibile si utilizzano pezzi dell’epoca, con lo svantaggio che naturalmente non sono nuovi, ma hanno a loro volta 50 o 60 anni e possono rivelarsi poco resistenti imperfetti. Se sono relativamente semplici, li ricostruiamo noi con i materiali di un tempo, impiegando frese, torni o fusioni. Alcuni interruttori e fili molto particolari sono diventati introvabili: in quel caso si sostituiscono con meccanismi più recenti mantenendo l’involucro esterno, altrimenti verrebbero a costare cifre esagerate. Ultimamente anche nei concorsi di eleganza più importanti del mondo vengono accettate queste sostituzioni, nel caso sia ufficialmente impossibile recuperare il pezzo originale sul mercato”.
Adesso risponde di nuovo Franco: “L’unica cosa che raccomando, presupponendo che si compri un’auto conservata come quelle che vediamo qui, è controllare lo stato del cablaggio e dei connettori. Sono una parte molto pericolosa, che si brucia spesso. E se ci sono fili scoperti o giuntati male, sono guai: ricordiamoci che la corrente in circolo nell’impianto è elevata e che in passato non esistevano circuiti o sistemi di protezione adeguati, salvo qualche fusibile”.
“Personalmente sono affascinato dal ‘far funzionare le cose’, che si tratti di una semplice molla da rifare o di un motorino da ricostruire, e questo mi dà motivazione ed energia. Purtroppo negli ultimi anni i clienti hanno cominciato a inviare una o due foto della vettura e chiederci un preventivo senza nemmeno ispezionarla, il che è come andare dal medico e voler sapere come si sta senza farsi visitare!”.
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