Condividi con:

Guida all’acquisto: Lancia Beta Coupé

di Redazione - 07/04/2024

Testo a cura di Marco Visani, Fotografie di Leonardo Perugini

Cosa sapere, cosa guardare, quali sono le versioni di maggior valore. La Lancia Beta Coupé è protagonista di questa guida all’acquisto dedicato ad una vettura iconica degli anni ’70 per diversi motivi. Essendo stata la prima del suo genere nata sotto la bandiera di casa Fiat.

Quante ne avete viste, di auto con dei gruppi ottici posteriori ottagonali? Certo: a nessuno mediamente sano di mente frullerà in testa di scegliere una macchina solo per il disegno dei suoi fanali. Però, come dire, è un indizio che si tratta di un’auto per niente banale. Ed è il caso di iniziare a considerarla. Soprattutto la prima serie. Quando ne diffusero le prime immagini, a maggio 1973, la Guerra del Kippur doveva ancora esserci: sarebbe divampata a ottobre.

A causa dell’aumento dei prezzi del petrolio che ne derivò, e che rese le auto sportive e quelle di grossa cilindrata interessanti come lo shampoo per un calvo, le concessionarie iniziarono a raccogliere le prenotazioni solo a febbraio 1974. Normale amministrazione, in quel periodo. Non fosse per un curioso dettaglio premonitore: la vettura bianca che accompagnò la prima press release era targata, con una combinazione evidentemente finta, TO L10000: questa numerazione sarebbe stata assegnata ad aprile 1974, cioè quando iniziarono le consegne effettive. Dunque, fatta salva una manciata di preserie, nessuna Beta Coupé è stata costruita – tantomeno venduta – nel 1973. Se per caso ne trovate una che da libretto sia di quell’anno, portatevela a casa anche fosse marcia: è più rara del Sacro Graal.

Coupé all’italiana

La Beta è la prima coupé Lancia dell’era Fiat ed è la tipica coupé all’italiana, come la 124 o la Giulia GT: della berlina riprende il nome e, grossomodo, la meccanica, ma con tante di quelle differenze che – nella sostanza – è tutta un’altra macchina. Pianale accorciato di 19 centimetri, set-up dell’assetto specifico e uno stile che non ha nulla a che spartire con quello della due volumi a quattro porte. Dell’altra Beta sono rimaste, da quel che si può vedere a occhio nudo, solo le ruote.

L’ha disegnata Piero Castagnero, il papà delle Fulvia, berlina e coupé. Modello che negli anni della prima serie la Beta non sostituisce, ponendosi su un gradino più alto: la vecchia rimane a presidiare la zona milletré sino ai primi mesi del 1976, la nuova rinuncia al millequattro della berlina e si regala il bialbero millesei e milleotto (credit by Aurelio Lampredi) con 8 o 10 cavalli in più (quindi, rispettivamente, 108 e 120). In pratica la Beta Coupé inizia esattamente dove la Fulvia finiva: a quota millesei, appunto. Ha numeri alti: cinque marce, quattro freni a disco, quattro ruote indipendenti.

Poltrone o sofà?

Lunga appena due centimetri più della Fulvia, pur restando una 2+2, grazie al motore trasversale ha una panchetta posteriore non simbolica. Anzi, a essere precisi: la panchetta non c’è proprio, visto che al suo posto ci sono due sedili singoli con poggiatesta integrati, belli e piuttosto comodi, appoggiati sul parafiamma posteriore. Che nello spazio libero tra i due schienali ospita una originale plafoniera che fa anche da faretto di lettura.

Per la cronaca, è esistita anche una “quasi Beta” con il divanetto classico. Quasi, perché si chiamava Lancia 1300 Coupé, senza il nome Beta: era un modello parallelo alla seconda serie costruito solo da novembre 1976 a giugno 1978. È a posto l’olio? Alla tipica domanda che negli anni 70 ogni benzinaio ti rivolgeva quando facevi il pieno, il proprietario della Beta Coupé rispondeva con un’occhiataccia sdegnata. Comprensibile, essendo al volante di un’auto con non uno, non due, ma ben tre indicatori dell’olio: manometro (normale), termometro (già meno) e persino un indicatore di livello.

È che alla Lancia avevano ancora il gusto dell’innovazione, in quegli anni. E dovendo condividere quantomeno il motore con le Fiat, si sbizzarrivano sui dettagli. Anche se non tutti erano funzionali. Tipo la ruota di scorta in fondo al vano bagagli, praticamente sotto la cappelliera, impossibile da recuperare a baule pieno. Tornando alla strumentazione, i primi 4000 esemplari sfoggiavano cifre marroni su fondo bianco, poi sostituite da un meno peculiare – ma anche più leggibile – bianco su fondo nero.

Il milleotto, una chimera

La vita commerciale della prima serie è durata un soffio, da aprile 1974 a novembre 1975, quando arrivò il secondo tipo. Ne hanno fatte, di conseguenza, pochine: 27.559, il 23,3% del totale. È stata l’unica Beta Coupé, la “Mk1”, a poter montare un milleotto (che ha rappresentato di suo appena il 7,1% delle 118.291 unità costruite tra il 1973 e il 1984).

Quantomeno in Europa, perché poi qualche migliaio di 1800, in una variante depotenziata a 90 cavalli, sono state realizzate anche negli anni della seconda serie per gli Usa.

Occhio all’errore

È stata anche, la prima serie, l’unica con il cofano motore mosso da una semplice nervatura centrale invece del largo rialzo che dalla seconda serie in poi sarebbe servito a contenere un’aspirazione più ingombrante. Occhio, quindi, che se trovate una “uno” con il cofano che ha la gobbetta è un tarocco. Controprova: solo sulla prima serie ci sono due prese d’aria separate, sul cofano, successivamente riunite in una sola più larga.

Altra cosa alla quale fare attenzione sono le cornici dei fari. Che non devono avere la carenatura ottagonale davanti ai vetri e nemmeno la mascherina nera (tutte cose della seconda serie), bensì una basetta cromata. Guardate anche la calandra: che sia in color metallo, non nera e mai con delle barrette cromate alla base. Se avete per le mani un millesei, verificate che sia siglato 828 AC.000 e non 828 B.000: se ha quest’ultimo identificativo non è un matching number, perché si tratta del trapianto di un motore successivo a novembre 1975, con cilindrata di 1585 cm³ invece di 1592, misure di alesaggio e corsa diverse (dovute all’unificazione dei diametri su millesei e duemila), e otto cavalli in meno.

Ma arrugginisce?

Risposta scontata: purtroppo sì. Specie dietro i parafanghi posteriori, intorno a parabrezza e lunotto (incollati), nella faccia interna del cofano motore e intorno al sottoscocca. A meno i casi di esemplari abbandonati all’addiaccio, si tratta comunque di corrosione non passante.

La meccanica è in generale sana, oltre che affrontabile da chiunque: facile, tuttavia, che le valvole vadano registrate per via della loro eccessiva rumorosità; ha una certa sete d’olio (ah, quella faccenda dei tre strumenti…) ed è dunque prudente rabboccarlo ogni mille chilometri. I ricambi si reperiscono con relativa facilità, esclusi i tessuti, peraltro assai delicati; quel che non si trova in Italia, è facile acquistarlo in Gran Bretagna, dove ci sono molti estimatori Lancia.

Com’è finita?

Se per caso non trovaste una prima serie, eccovi una sgrossata delle puntate successive: finita, a giugno 1978, la seconda, la terza serie (che estende anche al milletré il nome Beta) si riconosce per il retrovisore in plastica infulcrato sul deflettore e, soprattutto, per la nuova plancia. Sono gli anni cui viene proposta la versione speciale Laser (1300 e 1600); 1400 unità vengono poi costruite, tra il 1978 e il 1979, nello stabilimento Seat di Pamplona (sempre con marchio Lancia, però).

La quarta serie (1981-1984) sfoggia poi la calandra con il family feeling inaugurato sulla Delta, le finiture nere, uno spoiler posteriore ed è l’unica a montare il duemila a iniezione (122 cavalli contro i 115 del precedente a carburatore) oltre che compresso (la VX da 135 cavalli).

Sul mercato

Una prima serie (millesei o milleotto che sia, la cilindrata non sposta l’ordine di grandezza) in ottime condizioni vale realisticamente 9.000 euro, cioè il triplo del valore che la Beta Coupé aveva soltanto dieci anni fa. Facile prevedere una consistente rivalutazione nel medio periodo, considerando che si tratta di una granturismo di classe, con un marchio dal glorioso passato e che sin qui è stata poco nel mirino del collezionisti. Un consiglio spassionato? Andate a caccia di annunci.

Potrebbe interessarti

La Citroen DS del 1956 è Best of Show al Concorso d’Eleganza e Sportività Città di Trieste

Giornate intense, dove vetture iconiche hanno fatto "passerella" nella splendida Piazza Unità d'Italia. Diversi i premi assegnati

di Redazione - 29/04/2024

La Mercedes 2 Litri torna alla luce a 100 anni dalla vittoria alla Targa Florio

Un lavoro di restauro complesso e delicato, eseguito grazie all'analisi scientifica degli elementi che ha ridato vita alla vettura tedesca

di Redazione - 26/04/2024

Podcast

in collaborazione con Aci Radio

Il Punto di Pierluigi Bonora

Il Direttore di ACI Radio Pierluigi Bonora fa il punto sul fatto più rilevante della giornata offrendo spunti di riflessione per una corretta informazione.