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L’insospettabile collezione di Andrea de Adamich

di Redazione - 27/07/2024

L’insospettabile collezione di Andrea de Adamich

Testo e fotografie di Carlo Di Giusto

Cosa sai di Andrea de Adamich? è stato un ottimo pilota, che si è tolto la soddisfazione di mettersi dietro dei futuri campioni del mondo, che ha avuto un brutto incidente a Silverstone che gli ha spezzato le gambe e le ambizioni. Sai anche che è diventato un apprezzato giornalista, che ha condotto Grand Prix e commentato la Formula 1 per anni. E che si è reinventato imprenditore, di successo peraltro, e che ha fondato una delle più affermate scuole di guida sicura al mondo. Google può soddisfare tutte le tue curiosità. Tranne una: lasciarti sbirciare sotto i teli della sua sterminata collezione di automobili.

Gelosia? Riservatezza? Discrezione? Macché, Andrea de Adamich, che i suoi 82 anni li ha lasciati ai box mentre gira sulle piste della vita segnando ancora tempi formidabili, è un libro aperto: sulla sua carriera, sulla sua attività, sulla sua vita privata. E sulle sue automobili, che poi sono la costante di una vita che è andata così, ma che poteva andare in un altro modo, comunque sempre benissimo data la tempra del personaggio.

L’incontro in circuito

Andrea de Adamich arriva nel paddock di Varano guidando la sua Alfa Romeo Giulia Veloce (diesel) grigio Vesuvio. Abbassa il finestrino e mi fa cenno di salire: “Andiamo a fare un sopralluogo, così ti fai un’idea di cosa c’è”, dice, mentre si dirige dall’altra parte del fiume dove, presumo, ci sono i suoi capannoni pieni di macchine.

Il display della sua Giulia è costellato da etichette tipo auto da corsa anni 80 stampate sul nastro adesivo della Dymo: “Start&Stop: off”, “Acc: off”, “Max: 240 km/h”. Mi spiega che gli danno fastidio i continui spegnimenti e avviamenti ogni volta che si ferma e che la frenata automatica interviene anche quando non dovrebbe.

Sull’ultima etichetta, invece, sorvoliamo entrambi. Al telefono, qualche giorno prima, mi aveva anticipato qualche numero: “Ho 60 Ferrari, 70 Maserati, 150 Alfa Romeo e aveva lasciato intendere che c’era dell’altro, senza scendere troppo nei dettagli. Non so bene cosa aspettarmi, ma ho capito che sarà un altro giorno memorabile.

Primo pit-stop

Ci fermiamo un attimo nell’officina che fa la manutenzione alle vetture per i corsi di guida e che tiene in ordine le sue automobili personali e quelle di Vittorio Brambilla, il suo direttore esecutivo, che si chiama come il pilota monzese scomparso nel 2001. Il primo è semivuoto, perché le 147 Gta e le altre Alfa Romeo sono giù in pista per il corso di guida. Tutte le automobili sono coperte con un telo sul quale è stampato il nome della vettura: de Adamich è un maniaco dell’ordine, del rigore, della precisione e della perfezione, che insegue ossessivamente.

Da tutta la vita, mi viene da pensare. Esiste un solo modo per fare le cose: come dice lui. Penso che sia il segreto del suo successo, una determinazione incrollabile che si percepisce in tutto quello che fa. La mia attenzione rimbalza continuamente tra questo uomo alto e fiero e pieno di storie da raccontare e le sue centinaia di automobili, che ha iniziato a collezionare una trentina di anni fa, molto, moltissimo tempo dopo aver appeso il casco al chiodo.

La prima vittoria, la prima auto

La prima macchina che mi mostra è un’Alfa Romeo 2600 Sprint con il numero 246 sulle porte, uguale a quella che aveva guidato a Monza, nel 1964, conquistando la sua prima vittoria. Dall’altra parte del capannone c’è la Giulia Gta con il numero sui finestrini posteriori per celebrare gli anni di attività della sua creatura, il Centro Internazionale Guida Sicura.

L’insospettabile collezione di Andrea de Adamich

Gli chiedo se si fosse appassionato alle automobili già da bambino. Mi risponde di no: “In famiglia, le macchine erano un mezzo di trasporto”, ricorda de Adamich, “mia madre è stata la terza donna italiana a prendere la patente e faceva da autista a tutta la famiglia”. Andrea de Adamich inanella un ricordo dietro l’altro con precisione scientifica: parla della separazione dei suoi genitori, dell’incidente che si è portato via suo fratello, della villa di Vicenza, della Triumph TR3 acquistata usata da Trivellato per essersi diplomato con l’otto di media.

Una storia per ogni auto

La piccola Triumph azzurra è proprio al centro di quello che de Adamich considera il suo capannone numero uno, dove custodisce le auto più preziose: è proprio lei, la stessa macchina di 60 anni prima, comprata, utilizzata per le prime corse in salita, incidentata, riparata, venduta e poi ritrovata e acquistata di nuovo. La TR3 gli sblocca i ricordi delle prime gare, delle prime soddisfazioni contro gli squadroni di Porsche Carrera GT 2000 alla Castell’Arquato-Vernasca: “La macchina era normale, non avevo neanche l’autobloccante, mi iscrivo lo stesso. E arrivo terzo”.

Qualche metro più in là c’è la Maserati Sebring appartenuta a Luciano Pavarotti, una delle tre in una delicata tinta di azzurro metallizzato. La Dallara Stradale è l’unica sotto un telo Goodwool che ne replica la livrea. Anche questa, come tantissime altre vetture della sua collezione, riporta il nome della figlia Anna: “Sono le auto che ho messo da parte per lei”, spiega l’Andrea papà, perdutamente innamorato della sua bambina. In fondo a un’interminabile teoria di Ferrari youngtimer e instant classic c’è un oggetto stranissimo: è la Ventorosso, la cabriolet che la carrozzeria Pavesi di Milano aveva realizzato sulla base di una Ferrari 412 del 1989.

Una distesa (quasi) infinita

La collezione di Andrea de Adamich occupa quasi per intero i 5 mila metri quadrati coperti dei suoi capannoni sparsi sulla collina davanti al fiume che li separa dall’autodromo. Gli chiedo come sia diventato collezionista. “Beh, ho cominciato collezionando motociclette”, mi spiega, mentre si fa aprire la porta di un altro stabile. All’interno, decine di esemplari, quasi tutti Moto Guzzi, tutti coperti dal telo che riporta il nome del modello: V7 Polizia, V7 Militare, V7 Falcone…

C’è la sua personale V7 Special comprata nuova all’epoca, negli anni 70, probabilmente il modello che gli ha acceso l’interesse per il collezionismo. “Allora mi era venuta la mania della V7”, mi racconta, prima di scoprire la Honda CB 750 Four, “che pesava la metà della V7, e poi la 500 Four, che era ancora più leggera della 750, ma andava uguale”.

La collezione delle auto, invece, inizia molti anni più tardi. Prima di parlarmi di come ha cominciato, de Adamich ricorda gli anni passati in Ferrari, guidando le granturismo stradali di Maranello. “Non potevo tenerle, perché semplicemente non avevo lo spazio dove metterle. Poi”, prosegue, “quando mi sono trasferito qui, a Varano, ho capito che potevo iniziare a collezionarle: la prima è stata un’Alfa Romeo 75 3.0 V6, poi una 155 e così via. Da allora, e parliamo degli anni 90, non ho mai venduto niente, tranne una 8C Competizione, ma perché ce l’avevo doppia”.

Non solo italiane

Il cuore (e il business) di Andrea de Adamich batte per i marchi italiani, è chiaro. Eppure ci sono altre passioni, che risiedono silenziose nel capannone più defilato dagli altri, dove l’ex pilota triestino ha parcheggiato gli oggetti più esotici. Capisco che non ama le Porsche (non ne ho vista nemmeno una, come pure le motociclette Bmw: zero), ma deve avere un debole inconfessato per le Bentley e le Rolls-Royce, delle quali possiede una mezza dozzina di esemplari, che occupa la maggior parte dello spazio.

Andrea si lascia sedurre dalle cose strane, qualunque forma abbiano: dalla minicar Grecav Amica (della quale rivela di avere cinque o sei esemplari per far giocare in giardino la figlia Anna coi suoi compagni di scuola) parcheggiata accanto a una Mercedes-Benz G500, alla Classic Motor Carriages Tiffany, una monumentale youngtimer americana ispirata alle auto degli anni 30, passando per la Autozodiaco Squalo, un’affilata dune buggy su base Maggiolino.

Sono ubriaco di macchine e si è fatto tardi. Ma prima di uscire noto in un angolo un camioncino rosso con le lucine e un Babbo Natale sulle porte: allora esiste davvero e adesso so anche dove parcheggia quando non va in giro a distribuire i regali.

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