Testo di Federico Lanfrachi. Fotografie di Alessandro Olgiati
Era il 1981 quando Pierina, la zia di Pietro, attuale proprietario della Bmw 635 Csi che vedi in queste foto, decise di comprare quella che all’epoca era considerata la cosiddetta “macchinona”. Cioè no, non è del tutto esatto, non è stata proprio la zia a comprarla, ma di questo ti parlerò più avanti. Prova intanto a tornare indietro con la mente alle berline (di tutti i livelli) di oltre 40 anni fa, quando fra Mercedes Sec, Fiat 131 e Alfetta potevi scovare lei, la Bmw Serie 6, che si staccava nettamente dal coro. Lunga ma filante, cattiva ma elegante, non potevi che notarla. La sua silhouette è stata disegnata da quel genio di Paul Bracq, uno che, poco più che ventenne, a metà degli anni 50 disegnò un capolavoro come la Mercedes 190 SL: ho reso l’idea del livello (se non la conosci googolala a tempo zero)? La serie E24, questa la sigla del progetto della nostra Bmw, nella sua prima versione condivideva il pianale con la Serie 5 E12, ma aveva una scocca pronta a superare i più severi collaudi di sicurezza; la Serie 6, infatti, era stata pensata per sbancare negli Usa, dove le norme per la sicurezza erano già molto più severe di quelle europee.
Il sottoscritto e molti altri petrolhead credono che questa sia la più bella Serie 6 mai prodotta da Bmw. Guarda quel muso: così inclinato in avanti non sembra il naso appuntito di uno squalo affamato a caccia di prede? Proprio lì davanti, inoltre, è racchiusa l’essenza stilistica della casa di Monaco di Baviera, ovvero i quattro fari circolari e la calandra col doppio rene, proprio sotto lo stemma bianco e blu. Non possono non colpirti la linea di cintura bassa e i montanti del parabrezza sottili, che lasciano spazio a un’ampia vetratura per dare molta luminosità all’interno. E quegli spoiler in perfetto stile anni 80? Vezzi da sportiva che erano appannaggio solo delle versioni più aggressive della Serie 6, ovvero la Csi e la sorellona M635. Perché́ le versioni “civili” erano più sobrie ed eleganti: anche per questo è meglio puntare sulle varianti cattive, che alla lunga pagano sempre, pure sotto il profilo dell’investimento. Chi oggi ha in box una macchina come quella di cui ti sto parlando, se tenuta in modo impeccabile, possiede un capitale che si aggira attorno ai 35.000 euro. La coupé tedesca, con quel telaio e quel motorone lì, ha avuto anche un eccellente palmarès sportivo; per esempio, chi ha vinto il primo campionato Dtm? Eh sì, proprio la Bmw 635 Csi con al volante Volker Strycek.
Ma torniamo alla zia Pierina, perché in effetti risulta lei la prima intestataria, anche se in realtà l’acquisto è stato effettuato da Mario, il papà di Pietro. Negli anni 80, per svariati motivi, era spesso consigliabile non comparire sul libretto di circolazione di una macchina così vistosa e con cilindrata così alta: ecco perché la proprietaria risulta proprio zia Pierina, un po’ meno esposta rispetto a un affermato imprenditore in auge nella Milano da bere. Pietro, che all’epoca di anni ne aveva 18, ci racconta alcune storie sulla sua Bmw, tipo “quando andai con papà a ritirarla da nuova e nelle orecchie ho ancora la sua promessa al venditore: se qualcosa non fosse andato bene, sarebbe tornato e avrebbe voluto i suoi soldi indietro. Beh, tempo 10 minuti tornammo veramente, ma per un altro motivo: avevamo tamponato la prima vettura incontrata per strada! Papà non aveva preso bene le misure della sua fiammante 635…”. Con la sua patente che allora era fresca di stampa, Pietro mi ha confessato di non essersi fatto mancare scorribande in giro per la città con la “macchinona” sulla quale, fra l’altro, ha anche imparato a guidare; erano gli anni dei paninari e degli yuppies e girare in centro con una macchina simile significava essere “troppo giusti” agli occhi delle ragazze.
Ma gli anni passano e impolverano il fascino della 635, che perde appeal e diventa semplicemente una macchina vecchia. E, come spesso accade, viene dimenticata in garage. Poi però ecco il ritorno di fiamma: Pietro decide di far vedere a papà Mario, ormai anziano, la sua Bmw bella come allora. Quindi, prima della pandemia, la consegna nelle mani di un’officina milanese specializzata in auto d’epoca. Viene decisa la strada degli interventi conservativi, una sorta di maquillage che però presto si trasforma in un ripristino pressoché totale. Il motore, un ormai stanco sei cilindri in linea lungo da qui fin lì e diretto parente di quello della Bmw M1 (te la ricordi, vero?), è stato smontato pezzo a pezzo per esser passato al setaccio; i 218 cv forniti dalla versione originale sono un ricordo, perché ora sotto il cofano ne scalpitano circa 250: la testa è stata lavorata, l’albero a camme sostituito con uno dal profilo un po’ più spinto, la centralina eprom è stata riprogrammata e lo scarico sostituito a sua volta con uno in acciaio dal design del tutto simile all’originale, per non destare troppo clamore.
È il momento di salire e toccare con mano questa coupé. Apro la lunga portiera senza montante e devo dire che l’ampia superficie vetrata dona un particolare “respiro” all’interno, in pelle nera. Trovo stupendo anche il pannello pieno di spie in stile Kitt (l’auto di Supercar, questo so che lo sai), che serve a eseguire il check elettronico alla pressione di un inequivocabile pulsante con la scritta “Test”. Rispetto a una macchina contemporanea fa sorridere, ma ricordiamoci che la E24 è un progetto che risale alla fine degli anni 70 e tutto questo ha un sapore incredibilmente romantico. Guardo la console e mi sento davvero in piena epoca paninara grazie a quell’autoradio Blaupunkt estraibile e alla sua originale borsa a tracolla da sfoggiare al ristorante insieme al classico corollario fatto di Timberland, Moncler e l’immancabile cintura El Charro.
Quattro alzacristalli elettrici, condizionatore, specchietto singolo elettrico e servosterzo sono solo alcune delle sciccherie offerte di serie da Bmw: fanno capire che a Monaco di Baviera non scherzavano affatto. A bordo tutto è pensato per alzare di una spanna l’asticella di qualità e comfort. I sedili che Pietro ha voluto regalarsi sono i Recaro, quelli che potevano essere richiesti come optional sulla versione M, ma gli originali sono gelosamente custoditi in box.
Sono pronto a testarli come si deve, questi Recaro, e a mettere finalmente in moto il poderoso motore. Giro la chiave, attendo che le spie del quadro strumenti si spengano e broom, l’inconfondibile rombo metallico del six-in-line tedesco pervade l’abitacolo; al minimo, complice l’albero a camme modificato secondo i dettami racing dell’epoca, il motore non gira perfettamente tondo, ma devo essere sincero, è una goduria sentire quel borbottio irregolare. Due colpi col piede destro e tutto cambia, i giri salgono rapidamente e si capisce che l’ago del contagiri non vede l’ora di lambire la zona rossa. Giù la frizione, credo di aver inserito la prima e invece ingrano la retro come un pivello: questa Csi è equipaggiata col cambio sportivo con quinta marcia “di potenza” e, come tutti i cambi a H, la prima è in giù. Ritento, tiro la leva verso di me e clac, prima dentro. Parto tenendo fra le mani altre due chicche fortemente volute da Pietro all’epoca, ovvero pomello e volante firmati Alpina che, per fortuna, non sono andati persi negli anni; scaldo tutto a dovere nel breve tratto cittadino che mi separa da una strada extraurbana poco battuta. Una volta raggiunta, sarà la mia “pista di collaudo”.
Finalmente posso affondare l’acceleratore e il motore mi stupisce per la sua coppia mostruosa, che spesso fa partire per la tangente la coda: un differenziale autobloccante come si deve sarebbe stato gradito, cari miei ingegneri di Monaco. Continuo senza esagerare e apprezzo le doti da gran turismo della Csi, con le sospensioni tarate per non massacrare la schiena degli ospiti. Ho finalmente spazio davanti a me e decido di snocciolare tutte le marce per provare l’allungo della Bmw: in un attimo raggiungo la velocità al limite del Codice della strada ed è meglio rallentare, chiamando in causa i quattro freni a disco che, pur non potendo contare sul supporto dell’abs, si dimostrano ben modulabili e sempre pronti. Ormai si sta facendo buio e il tempo per divertirsi con questo giocattolone anni 80 sta finendo: torno verso la città per riconsegnare la Bmw al legittimo, fortunato proprietario.
È stato tutto tremendamente divertente e se mai ne guiderai una, ricordati le mie parole: maneggiala con cura. Sarà che non siamo più abituati ad avere a che fare con auto come questa, potenti e senza filtri, ma la Bmw 635 Csi, soprattutto sul bagnato, tende a intraversarsi ogni volta che può. Divertente? Certo. Ma poco saggio e, a meno che tu non sia la reincarnazione di Niki Lauda, potrebbe metterti in crisi.
Abbiamo ritrovato la Panda 4x4 che partecipò alla Parigi-Dakar negli anni 80. Una sfida che ha dell'incredibile! Tutta da raccontare...
Ripercorriamo una pagina gloriosa del motorsport, quella della partecipazione e della vittoria della Porsche 959 alla mitica Parigi-Dakar