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Restmod Volkswagen Maggiolino, accurato puntuale e di matrice italiana

di Silvio Jr. Suppa - 16/04/2024

Passaruota puntuti (sulla Tucson), fiancate geometriche (per la Ioniq 5), luci diurne a tutta larghezza (il tratto forte dell’ultimissima Kona). E ancora, tavolette grafiche con cui perdere il senno su ogni centimetro quadro, musi duri di fronte ai direttori di prodotto, riunioni a intermittenza con capi coreani in video-call ballerine. Sullo sfondo, scorci di Rüsselsheim che penetrano le finestre di un grattacielo ornato dalla grande H nell’ellisse. E il Maggiolino? Adesso ci arriviamo

Difficile immaginare un contesto più saturo di ricerca e lontano dai rassicuranti cigolii delle auto d’epoca. Una bolla creativa carica di emozioni progressiste, ispirate alla perfezione della tecnica. Nessun pannello fuori squadra, niente tolleranze di montaggio eccessive né soluzioni opacizzate dagli insulti del tempo. Solo lo sfolgorio di una continua tensione verso il futuro. Eppure proprio qui Nicola Danza, la cui qualifica recita “Exterior Design Manager – Hyundai Europe”, ha covato l’idea di reinterpretare un monumento dell’automobile classica, il Maggiolino.

La storia che fa la storia

Non un esemplare qualunque, però. La data di prima immatricolazione segna un interessante 1953, in pieno avvicendamento fra i celeberrimi “due vetrini” d’inizio produzione e gli “ovali” (dalla forma del lunotto) che più facilmente lampeggiano nella memoria degli italiani. Ma non solo: in un’epoca in cui le vendite viravano già con disinvoltura sugli allestimenti più curati, come accadrà in seguito per le Fiat 500 e le Renault 4, qui il primo acquirente preferì la monastica essenzialità dell’ingresso di gamma.

Niente Deluxe, solo Standard. Ovvero, rinuncia totale a cromature e profili, sedili imbullonati al pianale anziché regolabili longitudinalmente, propulsore meno aggiornato e… impianto frenante a cavo in luogo dell’idraulico! A incapsulare la dotazione punitiva, uno strato di vernice in due uniche varianti: grigio o blu, alla stregua dell’ancestrale Ford T e del suo “di qualsiasi colore purché nero”. Nicola, teutonico nel lavoro quanto simpatico quando esplode la passione, appare molto divertito dall’aver scovato tanto pauperismo nell’inverno del 2014, impegnato in una delle indagini che, a oggi, lo hanno condotto a possedere ben quattro rappresentanti della specie.

Al cuor non si comanda

“Si trattava di un’autentica rarità e non potevo lasciarmela sfuggire, nonostante le condizioni alquanto scoraggianti”, spiega con una risata. Non a caso la “rimessa in opera” dell’antica morigeratezza ha richiesto cinquecento ore di saldatura e lastratura, duecento di verniciatura (nell’abitacolo la lamiera a vista domina dove su altre versioni risulta coperta, per esempio intorno al ridottissimo imperiale) e il recupero di numerosi ricambi originali, che per le Volkswagen del periodo si rivela un cervellotico slalom fra le differenze da anno ad anno.

Forse per questo, al netto dell’aspetto un po’ ruvido dei dettagli in nero opaco, l’operazione resta misurata, educata. E reversibile. “L’ho considerato un punto chiave fin dall’inizio, non ho mai pensato a un dragster o ad altre elaborazioni senza ritorno. Non ho voluto assolutamente tagliare o modificare porzioni di carrozzeria. Anzi, il primo passo è consistito in un restauro conservativo”. Così molti componenti, fra cui i cristalli e perfino parte di bulloni e minuteria, restano di primo equipaggiamento, mentre per altri si è scelto di affidarsi alle alchimie di specialisti riconosciuti: la selleria, per esempio, è rifiorita sotto le cure di un artigiano che lavora per il museo dedicato all’Auto del Popolo ad Hannover.

Arriviamo al restomod

Su tale base rigorista si è innestata una costellazione di modifiche più o meno percettibili, che hanno allegramente fagocitato i weekend di Nicola e le sue ricerche su internet, tingendogli talvolta le mani di grasso perché “il bello del Maggiolino è anche, o forse soprattutto, fare da soli”. Se i cerchi Fuchs, imbullonati su tamburi di derivazione Porsche 356, calamitano gli occhi e si lasciano abbracciare dagli pneumatici Firestone con la poesia dei film anni Sessanta sull’America on the road, il cofano affusolato nasconde un’altra sorpresa: il propulsore rialesato, portato a 1,4 litri e modificato grazie a un kit d’epoca del preparatore Oettinger, con pistoni e alberi a camme (anch’essi di tipo 356) inediti e un carburatore a doppio corpo che il proprietario ha montato da solo.

 

Dimostrando come le dita di un designer non servano solo a governare matite e pennelli… Il complesso delle modifiche ha necessitato una sessione di ri-omologazione Tüv, della durata di ben cinque ore (!), al termine della quale il germanico Insetto si è visto accordare l’autorizzazione a circolare sulle strade europee. Poteva comparire occasione migliore per imbarcarsi in un viaggio Rüsselsheim-Hannover e ritorno da oltre 750 chilometri?

Nicola lo racconta con palpabile e ironica soddisfazione. La sobrietà iniziale del progetto gli ha permesso di generare, con ritocchi sintetizzati in mirate pennellate scure, un look incredibilmente attuale, quasi modaiolo, che sfrutta al meglio l’arrembante ritorno del grigio pastello. Un’autentica lezione di design per un risultato semplicissimo, ma carico di modifiche. Standard, non stock.

Fotografie di NOOK_2M

 

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