Quanto le auto storiche siano rilevanti nel nostro Paese è un dato di fatto. Ma bisogna fare un distinguo equo e corretto su cosa sia di rilevanza storica e cosa invece sia semplicemente una vettura vetusta e anziana. In realtà il codice della strada disciplina, forse in modo non sufficientemente dettagliato, cosa rientri nella “definizione” di veicolo e storico e quali criteri debba rispettare.
Nello specifico l’articolo 60 stabilisce che “Rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI”.
L’art. 215 del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di attuazione del Codice della Strada) classifica gli autoveicoli di interesse e/o collezionistico, quelli iscritti nei Registri dell’art. 60 di cui sopra con una anzianità di 20 anni.
Chiaro che quanto si evince è che tutti o quasi potrebbero potenzialmente essere considerati veicoli storici senza particolari difficoltà. Ricordiamo che questo si traduce in un vantaggio economico non di poco conto da parte dei possessori. Infatti sono previste esenzioni totali o parziali sulle tasse automobilistiche (bollo auto, Ipt, polizze assicurative, ecc.) quando si tratta di veicoli storici.
Il problema è che secondo le stime attuali, in Italia ci sarebbero 553mila vetture certificate come “storiche”, ma di queste solo il 20% avrebbe effettivamente i requisiti per ottenere il riconoscimento previsto dalle norme vigenti. L’80% del parco auto certificato come “storico” risulterebbe oggi usato quotidianamente per assolvere alle normali funzioni da mezzo di trasporto, e tra questi vi sarebbero anche furgoni commerciali in pieno esercizio. Stime che riporta il Codacons e da cui è partito un esposto ad antitrust, Corte dei Conti e Mit.
Inutile rimarcare il fatto che il difficile lavoro di ACI Storico è proprio quello di dare “valore” al patrimonio automobilistico nazionale. Mentre il Codacons, in riferimento ai registri citati poc’anzi che possono assicurare l’accesso alla “titolarità” di veicolo storico, rileva che si tratti di mere associazioni private le quali non eseguirebbero gratuitamente tale operazione ma, proprio al fine di rilasciare la certificazione finale richiesta, richiederebbero all’utente un’iscrizione all’associazione stessa.
Oltre alla quota associativa, verrebbe chiesto ai proprietari delle auto di effettuare un ulteriore pagamento all’ente certificatore per ottenere l’attestazione storica del proprio mezzo. Il compito di realizzare l’istruttoria per il rilascio della certificazione verrebbe assegnato a semplici amatori di federazioni private che non possiederebbero formazione alcuna, né alcun titolo riconosciuto che ne acclari la competenza, e ciò crea una grande sperequazione di valutazioni sul territorio nazionale.
Il rischio – denuncia il Codacons nell’esposto – è che siano qualificate impropriamente come storici veicoli semplicemente vecchi, quotidianamente utilizzati dai proprietari per la circolazione stradale, godendo di agevolazioni fiscali con grave danno tanto all’ambiente, considerate le emissioni inquinanti delle auto più anziane, quanto alla sicurezza stradale.
Una presunta posizione di monopolio posta in essere dalle associazioni iscritte nei Registri che potrebbe inoltre generare un danno erariale da milioni di euro, considerate le esenzioni delle tasse automobilistiche di cui godono i proprietari delle auto storiche.
Per tali motivi il Codacons ha chiesto ad Antitrust, Corte dei Conti e Mit, oltre che alla Procura di Roma e alla Guardia di Finanza, di indagare a tutto campo sul settore delle auto storiche, allo scopo di accertare eventuali irregolarità a danno della concorrenza e delle casse pubbliche.
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