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Breve storia del cambio manuale robotizzato

di Redazione - 12/04/2024

Testo di Marco Visani

Si tratta dell’obiezione più comune che viene mossa da chi non ama le trasmissioni automatiche: decido io quando cambiare. Ed è una delle ragioni che spiega perché, già 60 anni fa, vari costruttori lanciarono le prime semiautomatiche. Erano cambi manuali che eliminavano il pedale della frizione, lasciando al guidatore la possibilità di selezionare i rapporti: un modo di semplificare le cose a chi si sentiva in difficoltà nelle classiche dinamiche fra piede destro e sinistro, magari perché per la prima volta nella vita si confrontava con le complessità di un’automobile.

Una vera via di mezzo: non “difficile” come il cambio meccanico, non costoso e complesso da produrre come l’automatico tradizionale, che oltre ad aumentare i consumi comportava per le Case una totale riprogettazione, mentre qui si trattava semplicemente di adattare l’esistente.

Cosa non andava?

L’idea era brillante, eppure non è piaciuta. Non esistono dati scorporati sulla diffusione di queste versioni, ma siamo realisticamente nell’ordine di poche migliaia di unità per ciascuno dei modelli che l’adottarono. Perché non ha convinto? All’epoca ogni forma di assistenza alla guida si legava alla presenza di difficoltà fisiche, che erano purtroppo ancora considerate tabù. E poi, visto che l’esame della patente lo si era superato, perché spendere almeno il 10% in più per una cosa così “strana”?

I semiautomatici si dividono in due macrocategorie: quelli in cui c’è semplicemente un attuatore elettroidraulico che stacca la frizione, sostituendosi al movimento del pedale, e che si attiva da solo quando si tocca la leva del cambio, e quelli in cui c’è anche un convertitore di coppia come in un automatico vero e proprio, che ottimizza l’erogazione ai bassi regimi e permette partenze anche con i rapporti alti innestati, oltre a fungere da smorzatore di vibrazioni. È più complesso e costoso, ma anche capace di un funzionamento molto più morbido.

Tecnologia francese

Nella prima categoria rientra la frizione centrifuga proposta a richiesta sulla Citroën 2CV dal 1954, che però per molti versi ne rappresenta l’espressione più involuta. Il principio è simile a quello delle ganasce di un freno a tamburo: ci sono due dischi, l’interno aderisce all’esterno opponendosi alla resistenza delle molle che lo tengono in posizione grazie alla forza centrifuga trasmessa dal motore.

Al minimo la frizione è “aperta”, mentre accelerando “si chiude”. Ciò risulta molto comodo per non preoccuparsi del pedale sinistro negli stop-and-go in prima o seconda, ma nei passaggi di marcia fuori città bisogna necessariamente utilizzarlo (infatti resta presente accanto al freno e all’acceleratore), a meno di lasciare sufficientemente calare il regime del propulsore.

Molto più sofisticato ed efficace il dispositivo che sempre la Citroën monta nel 1955 sulla DS (conosciuto come Citromatic nei paesi anglosassoni). È un vero e proprio servocambio collegato all’impianto idraulico, con due pedali e una leva selettrice che, a scanso di spiacevoli inconvenienti, dà elettricità anche al motorino di avviamento per permettere l’accensione unicamente in folle. Come tutti i sistemi del genere, il suo principale difetto è il tempo morto tra la selezione della marcia e il suo effettivo innesto, che lascia per un istante le ruote scollegate e genera una sottile inquietudine: scalando prima di una curva si ha infatti la sensazione di percorrerla in folle, o senza freno motore.

Concettualmente simili la frizione automatica elettroidraulica della Mercedes-Benz, chiamata Hydrak e applicata tra il 1957 e il 1960 sulla serie Heckflosse, e le Saxomat che tra il 1958 e il 1959 la Lancia e la Fiat introducono a pagamento sulla Flaminia e le 1800/2100.

Evoluzione francese, ma…

Tra i semiautomatici con convertitore, spicca quello della Renault Frégate Transfluide (1958), con tre soli rapporti identificati in modo creativo: la prima diventa E, Exceptionnel, la seconda M, Montagne, la terza VR, Ville-Route, ovvero città e strada. Stessa struttura di base per la Fiat 850 Idromatic del 1966, dall’anno successivo ribattezzata Idroconvert.

Anche lo Sportomatic proposto nel 67 dalla Porsche sulla 911 (e mantenuto come optional per molti anni) ha un convertitore al posto del volano. Sul pomello c’è scritto L, D, D3 e D4 per occhieggiare a un automatico: dietro questi codici da battaglia navale si nascondono in realtà le quattro “solite” marce. Per la cronaca, un tentativo di recupero oltre i tempi supplementari della frizione “pilotata”, come la chiamano i francesi, accade a metà anni 90 con la Saab 900 Sensonic e la Renault Twingo Easy. L’efficacia molto superiore dovuta alla gestione elettronica non è bastata neppure stavolta a decretarne il successo: ormai i tempi sono maturi per una diffusione su larga scala dell’automatico.

 

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