L’affondamento, il 25 luglio del 1956 vicino all’isola di Nantucket tra Boston e la destinazione New York, del magnifico transatlantico italiano Andrea Doria, speronato dalla nave svedese Stockholm, fu una tragedia, con 51 vittime, che sconvolse l’opinione pubblica mondiale. Pesanti anche le perdite di merci e, tra le auto ospitate nella stiva colate a picco, ce n’era una destinata certamente a far parlare molto di se. Il pubblico non la vedrà mai, e sarà un vero peccato perché la dream-car Norseman era un autentico concentrato di idee futuristiche, sia dal punto di vista estetico che degli allestimenti, frutto della collaborazione tra i designer statunitensi della Chrysler e la prestigiosa carrozzeria Ghia.
L'emblema tecnologico
Un progetto complesso e ambizioso, con grande dispendio di energie creative e finanziarie, che richiese un paio d’anni di lavoro e un investimento pari ad una cinquantina di milioni di lire, cifra straordinaria all’epoca. La Norseman, un po’ come dire “uomo del nord”, forse riferimento ai Vichinghi, doveva rappresentare il fiore all’occhiello, l’emblema tecnologico della marca americana, coinvolgendo nella realizzazione l’azienda torinese di Luigi Segre che già aveva dato ottima prova cimentandosi su telai provenienti da Oltreoceano.
I tratti della vettura, definiti sulla carta dall'equipe di Virgil Exner, vengono dunque tradotti in concreto dalla Ghia e dai suoi stilisti, in particolare Sergio Coggiola, allestendo l’esemplare unico che verrà imbarcato a Genova sull’Andrea Doria per iniziare il suo percorso nelle grandi esposizioni internazionali.
Mastodontica coupé, lunga quasi 6 metri per 2 di larghezza, dalla scocca in alluminio, la Norseman, della quale restano soltanto le fotografie e il cahier di caratteristiche diffuso dalla casa, impressiona per l’impatto delle sue forme esasperatamente appariscenti e per le soluzioni d’avanguardia negli equipaggiamenti. Il frontale, con i fari a scomparsa sui parafanghi e la enorme calandra, le fiancate profilatissime con ampi passaruota, le esagerate pinne posteriori e la sovrabbondanza di cromature, rappresentano in eccesso le tendenze allora prevalenti per le auto USA di classe superiore.
Ma sono più interessanti altre prerogative, come la carenatura aerodinamica della piattaforma, i semplici pulsanti di apertura delle portiere o, più ancora, il tetto sorretto soltanto dai montanti posteriori ad arco, che permette una vetratura senza soluzione di continuità tra parabrezza e cristalli laterali, oltre ad ospitare il lunotto retrattile a comando elettrico. D’effetto anche la verniciatura in due tonalità metallizzate di azzurro acqua marina.
Un salotto buono
Altrettanto fuori dall’ordinario la struttura e gli arredamenti dell’interno. Il grande spazio, il passo è di ben 3,28 metri, ospita quattro poltrone singole separate da consolle, rivestite in pelle e regolabili elettricamente, come elettricamente possono ruotare le spalliere di quelle anteriori per facilitare l’accesso ai posti posteriori. La plancia accoglie la strumentazione ad ogive e un tavolinetto estraibile, mentre non mancano cinture di sicurezza avvolgibili, rarità ai tempi.
Nessuna ricercatezza, invece, sul fronte della meccanica che utilizza componenti di serie Chrysler, a partire dal motore V8 Hemi 5,4 litri da 235 cavalli accoppiato ad un cambio automatico, qui però con comando a tasti. D’altra parte, in questo caso, le informazioni disponibili sono piuttosto limitate.
Accolta nelle profondità del mare, la Norseman resta comunque una dream-car, testimonianza, purtroppo non tangibile, di fantasia e ricerca funzionale in una stagione che stava diventando d’oro per i carrozzieri italiani, in crescente protagonismo sulla scena automobilistica mondiale.