E' bella e balla. La Ducati 916 del 1994 è la sintesi di quella straordinaria qualità che riesce a coniugare un aspetto estetico delizioso a una funzionalità - in questo caso votata all'aerodinamica - fuori dal comune.
Pensata dal team di “designer” diretti da Massimo Tamburini, uno dei più prestigiosi autori di moto dello scorso millennio, la 916 si può attribuire in particolare a Sergio Robbiano: il suo ruolo era sostituire la 851, divenuta poi 888, modello concepito come stradale ma in seguito adattato alle competizioni del Mondiale Superbike, nel quale si impose soprattutto grazie a Raymond Roche e Doug Poulen.
Una lunga genesi
Ci vollero tre/quattro anni per arrivare a quel prototipo che fu presentato a Eicma 1993. Subito si capì che la moto aveva le stimmate per andare forte fra i cordoli piuttosto che essere comoda, facile e divertente salendo i tornanti di una strada di montagna. Ogni particolare estetico era ben raccordato, niente elementi posticci su una carenatura grossolana: sulla 916, per esempio, i fari assunsero un profilo congeniale alla miglior penetrazione del vento frontale, piccoli, di profilo “a goccia” e “a filo” del cupolino.
La 916 che entrò in produzione di serie fu, in sostanza, uguale a quella rivelata al Salone milanese. Visto di fianco, il codino seguiva la linea dei laterali, che erano attillati a motore e telaio. Sotto il monoposto fuoriuscivano i terminali di scarico, più in basso il forcellone monobraccio faceva immaginare quanto veloce potesse essere l’operazione di smontaggio della ruota posteriore nelle soste ai box. La vocazione “racing” fu subito inequivocabile, la rivoluzionaria 916 era bella e di definito carattere, riuscendo comunque a rispettare la tradizione Ducati: si veda il telaio a traliccio, il motore “desmo” e il suo frazionamento bicilindrico, e pure il “tintinnio” dei 15 dischi della frizione a secco.
Il numero giusto
Miglioramento del Desmoquattro a cinghia, quattro valvole per cilindro e raffreddata a liquido, l’unità propulsiva fu potenziata nella cilindrata, fino a quel 916 che le diede il nome; le prestazioni della versione “stradale” contavano 114 cavalli di potenza massima a 9mila giri al minuto, che spingevano un modello di 198 chili. Da ferma, per arrivare al traguardo dei 400 metri, impiegava 10,7 secondi.
Anche le caratteristiche della ciclistica proponevano una decisa evoluzione rispetto al passato e non avevano molto a che fare con la 851: il traliccio era fatto di tubi d’acciaio da 28 millimetri, le sospensioni Showa erano totalmente regolabili, la forcella di diametro 43 millimetri poteva regolare l’inclinazione, il cannotto di sterzo dava la possibilità di scegliere fra un angolo di 23,5 o 24,5°, cosa che cambiava il comportamento dinamico, preferendo più agilità o stabilità. Le ruote in lega da 17 pollici montavano pneumatici 190/50 al posteriore e 120/70 davanti, dove i freni Brembo si servivano di dischi flottanti da 320 millimetri, dietro la misura era di 220.
Vittoria su vittoria
Lo stesso anno in cui uscì sul mercato, il 1994, la Ducati 916 debuttò nel Mondiale Superbike col motore maggiorato a 955 centimetri cubici: lo vinse guidata da Carl Fogarty, ripetendosi la stagione successiva. Nel ’96 il merito e l'onore di svettare nella classifica finale fu dell’australiano Troy Corser, due anni dopo tornò a vincere l’inglese. La Ducati 916 “in purezza” fu prodotta fino al 1998, l’anno successivo diventò 996 e in seguito 998.