“Volevamo auto volanti, invece abbiamo avuto 140 caratteri”. Era il 2010 e così il finanziere della Silicon Valley poi fervente trumpiano Peter Thiel sembrava sfottere con un tweet Elon Musk, che in quell’anno portava Tesla a Wall Street e apriva un suo account su Twitter. Oggi che Musk ha convinto il consiglio di amministrazione del social di San Francisco a farsi comprare mettendo sul tavolo circa 44 miliardi di dollari, il ceo di Tesla può rispondere che le sue auto elettriche volano in Borsa e fanno profitti dal 2020 (ben 17 anni dopo la creazione della società), mentre lui è diventato l’uomo più ricco del mondo al punto da poter permettersi un cip miliardario in cambio di 140 caratteri.
Entro l'anno
Musk dovrebbe finalizzare l’acquisizione di Twitter entro la fine del 2022 e ha già detto che non ha fatto l’operazione per business. Come un po’ tutti gli imprenditori stellari della Silicon Valley, piuttosto ha raccontato che l’acquisto servirà al “futuro della civilizzazione”, volando alto come quando non era così famoso e non seguito sul social da quasi 85 milioni di persone (l’equivalente dell’intera popolazione della Germania) e sosteneva che gli sarebbe piaciuto “morire pensando che l’umanità ha un futuro luminoso”.
"Free speech" e Sec
Musk inneggia su Twitter e per Twitter al “free spech”, alla ”libertà di parola”. In realtà, in questi anni ha usato il social anche per il suo business andando per questo motivo allo scontro con la Sec, l’autorità di controllo della borsa americana. Nel 2018 il caso più clamoroso: dopo aver sparato in un tweet che stava pensando di privatizzare Tesla dando uno scossone al mercato con guadagni importanti, la Sec gli comminò una multa da 40 milioni di dollari e lui la sfidò con un altro tweet definendola “Shortseller Enrichment Commission”, più o meno “Commissione per l’arricchimento degli shortseller”, cioè degli speculatori. Nuova multa milionaria e pace armata.
Una leva per Wall Street
In nome del business, Musk ha usato più volte Twitter per smuovere il titolo di Tesla verso l’alto in Borsa, soprattutto quando le cose andavano male sul piano industriale e nessun obiettivo da lui annunciato veniva raggiunto. Nulla di nuovo nel mondo della comunità finanziaria, del resto. Negli ultimi suoi anni, per fare un esempio, il ceo di Fiat Chrysler Sergio Marchionne esternava soltanto con Wall Street Journal e Bloomberg - media molto sensibili per i mercati americani - per vedere poi un boost al titolo (Fcau) a Wall Street. Oggi, in tempi digitali, cambia solo il mezzo.
Rischio e "fanboats"
Con Twitter, dunque, Musk ha più volte ricaricato Tesla, società da deboli performance e perdite colossali (almeno fino al 2020) ma dalla capitalizzazione monstre. La Borsa ha sempre scommesso sul rischio, al punto che un mese fa riconosceva al costruttore elettrico un rapporto prezzo/utile nell'indice S&P500 pari a 115 volte, quando la media delle società quotate è intorno alle 22 volte. Secondo lo studio di un ricercatore dell’università del Maryland, tra il 2010 e il 2020 il titolo del costruttore è stato sostenuto via tweet da 36mila “fanboats”, algoritmi pro-Tesla. Ma se anche fosse provato, in fondo non sono tantissimi in un decennio. Piuttosto, Musk si è preso un tweet di complimenti pure da "Cassandra B.C." Michael Burry, il finanziere diventato famoso nel 2008 avendo scommesso contro il mercato (da qui il film "The Big Short") e suo feroce critico per Tesla.
L'agenda politica
La verità – cioè la grandezza dell’operazione attuale - sta nel peso specifico di Twitter, che pure nel mondo ha circa 200 milioni di utenti contro i 2 miliardi di Facebook: il social è parte integrante dell’agenda politica di qualsiasi governo e di qualsiasi opposizione. Può dunque influenzarla, in tempi in cui (per esempio) la transizione energetica e il cambiamento climatico sono temi apicali per i quali dovranno essere investite quote ingenti di Pil.
Musk ha già detto che porterà via Twitter dalla Borsa, prevedibilmente per essere più libero da qualsiasi controllo. Il “free speech”, insomma, sarà per lui sinonimo di libertà da ogni accusa di conflitto di interesse. Da rivendicare sempre di più per Tesla ma anche per Space X, l’altra sua società aeronautica scelta dalla Nasa per i prossimi viaggi nello spazio. Con la differenza non da poco che qui sono in ballo contratti con soldi pubblici dei contribuenti americani.