Ultimo aggiornamento  01 giugno 2023 14:58

Fiat 126, piccola ma grande.

Massimo Tiberi ·

Prima la 128 e poi la 127: all’inizio degli anni Settanta la Fiat ha dato un netto colpo di sterzo alla sua gamma verso scelte più avanzate, e al passo con i tempi, in materia sia di tecnica che di design. Un evidente salto di qualità rispetto alle 1100 e 850 per affermare posizioni di primo piano nelle categorie delle auto compatte. Ma a Torino imboccano una strada completamente diversa quando si tratta di sostituire la 500.

In questo caso nessuna fuga in avanti, quanto piuttosto una cauta evoluzione del progetto che aveva dato vita nel 1957 all’utilitaria diventata icona del marchio. Per la rivoluzione nel segmento A del mercato, bisognerà attendere il 1980 e l’arrivo della Panda. Cinquant’anni fa, al Salone di Torino del 1972, viene dunque presentata la 126 che ricalca le orme della popolarissima piccola Fiat aggiornandone però aspetto e contenuti.

Quante novità

Con una lunghezza di poco superiore (3,05 metri) e mantenendo la stessa misura del passo (1,84 metri) rispetto alla 500, la nuova vettura ha un aspetto decisamente più moderno. Il centro stile della casa, con in evidenza il lavoro di Sergio Sartorelli e un occhio al prototipo City Taxi di Pio Manzù del 1968, sceglie forme squadrate dalle vetrature più ampie, fari rettangolari (quelli della 127) e cofano anteriore dall’apertura controvento. Altre caratteristiche: le maniglie delle due portiere incassate, i cerchi ruota dal tono sportiveggiante e le prese d’aria supplementari sopra i parafanghi posteriori. Restano i sottili paraurti in lamiera piuttosto fragili.

L’abitacolo guadagna un po’ di spazio (ci si sta in quattro), come il vano bagagli anteriore grazie allo spostamento del serbatoio carburante sotto il sedile posteriore in posizione protetta (non si va oltre comunque la settantina di litri e con l’ingombro della ruota di scorta). Qualche progresso negli allestimenti, con sedili in finta pelle o tessuto, plancia rivestita in materiale plastico, strumentazione ben leggibile (c’è l’indicatore del livello carburante), tasche portaoggetti sulle portiere e vaschetta davanti alla leva del cambio. Aggiunte bocchette di aerazione e sono presenti i deflettori, mentre non cambia il rudimentale sistema di riscaldamento proveniente dal vano motore e per l’avviamento si utilizza ancora la levetta sul tunnel centrale. Fra gli accessori a pagamento, cristalli posteriori apribili a compasso, regolazione degli schienali dei sedili anteriori, cinture di sicurezza e non manca la versione con il mezzo tetto in tela decapottabile, già prerogativa della 500.

Cambio (quasi del tutto) sincronizzato

In continuità lo schema tecnico, con a sbalzo del retrotreno il bicilindrico raffreddato ad aria che cresce a 600 centimetri cubici per una potenza di 23 cavalli, qui però accoppiato ad un cambio a quattro marce finalmente sincronizzate (eccetto la prima). Conferma per le sospensioni tutte indipendenti e per i freni a tamburo, componenti adeguate al ruolo della city-car Fiat che ora offre anche prestazioni migliorate con una velocità massima vicina ai 110 chilometri orari. Discreto il comfort, penalizzato dalla rumorosità del motore, e notevole la maneggevolezza, ma lo sterzo non brilla per precisione ed è forte la sensibilità al vento laterale. Molto apprezzati i bassi consumi, mediamente intorno ai 16/17 chilometri/litro.

Che successo

Venduta ad un prezzo inferiore alle 900mila lire, la 126 non manda definitivamente in pensione la 500, che resta in campo con l’ultima generazione R fino al 1975. Uniche rivali straniere, per cilindrata, la Citroen Dyane 6 e la NSU Prinz, che d’altra parte nulla hanno in comune con la Fiat e dai listini superiori di almeno 100mila lire.

Il buon successo sul nostro mercato viene accompagnato da un costante sviluppo del prodotto. Nel 1976 arrivano le varianti Personal, dagli allestimenti più curati, nel 1977 il motore sale a 650 centimetri cubici per 24 cavalli e nel 1978 le edizioni speciali Black e Silver, poi Brown e Red, si distinguono per dotazioni arricchite. La produzione in Italia termina nel 1979, quando sta per entrare in scena la Panda, ma prosegue in Polonia e diventa la base per la motorizzazione in vari Paesi del’Est Europa.

Sostanziale trasformazione per la Bis del 1987, con il bicilindrico appiattito a “sogliola”, 700 centimetri cubici raffreddato a liquido da 26 cavalli, che permette di aggiungere un vano bagagli posteriore accessibile da un pratico portellone.

Il lancio nel 1991 della Cinquecento a trazione anteriore non interrompe la carriera della 126, che prosegue con la 650, ora a iniezione e catalizzata, addirittura per quasi un altro decennio, raggiungendo i 4,6 milioni di esemplari costruiti. Non a caso la serie di commiato viene battezzata Happy End.   

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