Il passare del tempo può trasformare perfino delle auto mitiche in rottami irriconoscibili. Ma alcuni modelli meritano di essere recuperati a prescindere dalle loro condizioni e se parliamo delle leggendarie Ferrari Dino, restaurarle diventa quasi un obbligo. Gli specialisti britannici della Bell Sport & Classic - esperti nel dare nuova vita a modelli storici del Cavallino - hanno riportato a splendere un esemplare mal messo della Dino 246 GT Serie 607 L del 1969, con un meticoloso lavoro di smontaggio e rimontaggio durato addirittura 4 anni.
Il primo V6
La 246 è l’evoluzione della storica Dino 206 GT, primo modello della Casa di Maranello a montare un V6 di 65° trasversale da 2.0 litri (da qui il numero 206), derivato dall’ultimo propulsore sportivo progettato negli anni cinquanta da Alfredo Ferrari, il compianto figlio del Drake Enzo. Fino ad all’ora per i veicoli stradali di serie erano stati adottati solamente motori da 12 cilindri, in quel periodo sviluppati dall’ingegnere Gioachino Colombo.
Un grande classico
Quell’auto indimenticabile - con carrozzeria disegnata da Aldo Brovarone della Pininfarina e costruita da Scaglietti - è ricordata anche per l’assenza sul muso del celebre Cavallino Rampante, sostituito dalla firma “Dino” ed era considerata all’epoca come una sorta di “baby” Ferrari. Il propulsore (sempre V6) era stato portato a 2.4 litri di cilindrata (da qui invece il numero 246) e 181 cavalli e consentiva alla vettura di raggiungere la velocità (ragguardevole all’epoca) di ben 235 chilometri orari e di scattare da 0 a 100 in 7.2 secondi. Ma la qualità più importante della 246 GT era la sua agilità nello stretto, dote riconosciuta subito nel 1969 dal giornalista e pilota belga Paul Frère: "Pochissime auto sono divertenti da guidare come la Dino, che può dare il suo meglio su strade con molte curve e una buona visibilità. L’auto diventerà presto un’icona di stile di vita con la sua innata eleganza”.
Mentre nelle corse endurance la rivale di Ferrari era diventata la Ford, le Dino erano state pensate soprattutto per “disturbare” l’ascesa sul mercato della Porsche 911 del 1963, con un prezzo di attacco notevolmente inferiore rispetto alle "rosse" di quel periodo storico, come la 365. La 246 - prodotta in diverse versioni sia coupé (GT) che spider (GTS) e nelle Serie L, M ed E - è stata venduta in 2.487 unità, un risultato notevole ai tempi.
Restauro miracoloso
La vettura ricostruita dalla Bell Sport & Classic conta 83mila chilometri sul tachimetro, proviene originariamente dalla Germania e l’attuale proprietario americano l’ha presa in uno stato di abbandono avanzato difficile da recuperare. È il settimo di 357 esemplari realizzati delle Serie L (partendo dalla prima #00402, è la #00436), che rispetto alla 246 standard era sviluppata su un telaio leggermente più lungo. Il restauro che ha riportato il veicolo in condizioni estetiche da concorso di bellezza è iniziato proprio dalla base, trovata quasi interamente arrugginita e completamente rigenerata. Il team è stato diretto dall’italiano Attilio Romano, esperto dei modelli storici Ferrari che si è avvalso della collaborazione dello scrittore Matthias Bartz, autore di un libro proprio sulle Dino.
Dettagli che fanno la differenza
Il responsabile del progetto Peter Ensor considera il lavoro fatto quasi un miracolo: “Dubito che altre aziende avrebbero anche solo preso in considerazione questa vettura. Per lo stato in cui si trovava la Dino quando ci è stata portata nel 2017 non sembrava economicamente conveniente tentare di riportarla al suo antico splendore. Riuscirci è diventato per noi una prova per testare le nostre capacità, una sfida. L'auto era stata restaurata già due volta e verniciata in Rosso Corsa invece del Rosso Dino originale, che ha una sfumatura più tendente all’arancione. Il tetto era leggermente storto. Anche il rivestimento degli interni in pelle non era stato scelto correttamente: era nero e rosso invece del nero con inserti arancioni dell’originale. E questo è stato solo l’inizio. Quando abbiamo scavato più a fondo, ci siamo resi conto che c'erano altri problemi da risolvere: componenti di ricambio saldati sopra a quelli originali, paraurti e altri elementi arrugginiti. Ce ne siamo accorti mettendo completamente a nudo la monoscocca in acciaio, un processo che ci ha impegnato per mesi".
È la cura maniacale per ogni dettaglio a rendere questo restauro vicino alla perfezione: "Per esempio - continua Ensor - la guarnizione bassa delle portiere si può sporcare facilmente di vernice durante il lavoro di ripristino della livrea, ma sulla nostra Dino, non c'è nemmeno una macchia. Inoltre abbiamo potuto correggere piccoli difetti di fabbricazione. Negli anni '60, i tecnici di Maranello non avevano a disposizione la tecnologia di oggi e quindi alcuni dettagli non erano sempre perfettamente simmetrici. Questa 246 è stata realizzata con un leggero disallineamento delle prese d'aria laterali, un difetto abbastanza comune. Abbiamo lavorato centinaia di ore per sistemarle, ricostruendo quasi interamente le portiere".