Presentata nel 1969, la Volkswagen-Porsche 914 chiude la carriera nel 1975 dopo meno di 120mila unità vendute. Un risultato soltanto discreto per il marchio di Stoccarda che aveva cercato di estendere il proprio spazio di mercato con un modello più economico e a più larga diffusione rispetto alla 911, differente nell’estetica originale e nella disposizione posteriore-centrale del motore. L’impegno, comunque, per cercare di uscire dalle strette maglie del monoprodotto e contrastare una crisi aziendale che si fa sentire con pesanti riscontri negativi in particolare sul mercato USA, non si interrompe. Oltre al progetto di una supercar che darà poi vita alla 928, si lavora anche ad una erede di caratura superiore per la 914.
Debutta così nel 1976 la 924, sempre frutto della collaborazione con il gruppo Volkswagen ma questa volta realizzando un’auto che incontrerà maggiori favori da parte del pubblico, contribuendo in modo sostanziale al rilancio.
Cambia tutto
L’impostazione è rivoluzionaria per la casa tedesca e, pur con qualche vincolo di sinergia, la nuova vettura non trascura raffinatezze sul piano sia stilistico che tecnico. Per la prima volta su una Porsche debutta il motore in posizione anteriore e raffreddato a liquido, mentre la trasmissione è impostata secondo lo schema “transaxle” con cambio e differenziale in blocco al retrotreno. Il design, dell’olandese Harm Lagaay del centro stile interno diretto da Tony Lapine, sceglie i tratti classici e la formula tradizionale di una coupé granturismo lunga 4,21 metri, due posti più due con i posteriori quasi simbolici, dall’indiscutibile eleganza sportiva. In evidenza, i fari retrattili e l’ampio lunotto che si apre per accedere al vano bagagli.
Tanta qualità
All’interno gusto retrò, niente lusso ma materiali di qualità e cura dei dettagli, assetto al volante allungato e strumentazione completa a elementi circolari, con gli indicatori secondari sopra la consolle centrale. Fra gli accessori non mancano cerchi in lega, condizionatore e tetto apribile.
Il motore, quattro cilindri due litri monoalbero a camme in testa alimentato ad iniezione, appartiene alla famiglia Audi, rivisto in chiave Porsche. Ben studiate le sospensioni tutte indipendenti, McPherson davanti e a barre di torsione dietro. Sottotono l’impianto frenante con dischi solo anteriori e il cambio a 4 marce con l’alternativa dell’automatico a 3 rapporti (in seguito arriverà il 5 marce). La potenza disponibile, 125 cavalli, non è eccezionale per un Cavallino di Stoccarda, comunque consente di sfiorare i 200 chilometri orari e di accelerare da 0 a 100 in meno di 10 secondi non esagerando nei consumi. Il comportamento su strada trae vantaggio dall’equilibrio dei pesi tra gli assali grazie al “transaxle” e piace a chi ama la guida un po’ vecchio stile.
Più potenza
Però non basta per una Porsche e nel 1978 entra in campo la 924 Turbo, che si affianca alla “normale” con una personalità assai più forte e dalla dinamica migliorata. La sovralimentazione è ancora una rarità per le auto di serie, ma l’esperienza maturata sulle piste e con la 911 in quegli anni determina la scelta. Il motore, assemblato direttamente a Stoccarda e non nella fabbrica ex NSU di Neckarsulm dove viene costruita la vettura, è rivisto in molte componenti e adotta un compressore KKK per far salire la potenza a 170 cavalli (177 dal 1981). Adeguato anche l’assetto e vengono montati quattro freni a disco ventilati, a fronte di prestazioni di livello assoluto nella categoria: punta di 230 chilometri orari e 0-100 in circa 7 secondi. All’esterno, distinguono la Turbo le prese d’aria frontali e sul cofano, lo spoiler alla base del lunotto, i cerchi ruota maggiorati e, optional, è disponibile la verniciatura bicolore.
Lunga vita
Nel tempo, numerose saranno le serie speciali, come le Carrera e Le Mans, e la “piccola” Porsche non trascurerà l’impegno agonistico. Dopo il lancio della nuova 944, con lo stesso corpo vettura modificato, nel 1985 la 924 diventerà S e successivamente S2 adottandone il motore da 2,5 litri, per 150 e 160 cavalli, che prolungherà la vita della vettura fino al 1988 superando il tetto delle 150mila unità complessive prodotte. Una buona prova, con riscontri positivi su vari mercati fra i quali quello statunitense.
In Italia, l’immagine riduttiva rispetto alla 911 la penalizza, considerando anche un prezzo comunque elevato e decisamente superiore alle potenziali concorrenti, dall’Alfa Romeo Alfetta GTV alla Lancia Beta Coupé 2000.