Se Elon Musk dovesse veramente decidere di vendere il 10% delle sua azioni di Tesla - per pagare così almeno una parte di tasse come ha promesso di fare se i suoi followers su Twitter avessero votato in tal senso - ci sarebbe “una solida domanda istituzionale per prenderle a sconto”. Una operazione che non porterebbe che “a un giorno o due di modeste pressioni sulle vendite”, nonostante parliamo di movimentare circa 20 miliardi di dollari. Questa almeno è l'opinione in proposito di Gary Black, che gestisce il portafogli azioni della Casa di auto elettriche per il Future Fund che ha espresso la propria opinione in una nota nella quale si è detto "non preoccupato" per l'immediato futuro. Insomma, i titoli del costruttore fanno talmente gola e il loro valore è così in crescita che non ci saranno in ogni caso scossoni sulla quotazione stellare complessiva dell'azienda.
Musk contro Washington
Per capire cosa sta succedendo facciamo un passo indietro. Venerdì scorso a tarda sera il parlamento americano ha approvato l'operazione "Build Back Better", un faraonico progetto di ripartenza e modernizzazione del Paese - in cui rientrano anche incentivi per le auto elettriche e un piano per la creazione di una capillare infrastruttura di ricarica - che costerà, complessivamente 1,75 miliardi di miliardi di dollari (gli americani semplificano utilizzando l’espressione “un trilione”). Un simile sforzo richiede ovviamente il sacrificio di tutti e il presidente della Commissione Finanze del Senato Ron Wyden, ha subito parlato chiaro: "è il momento della tassa sul reddito dei miliardari”.
A quel punto Elon Musk - che è da poco, grazie alla valutazione di Tesla, tornato a essere la persona più ricca al mondo - è andato su tutte le furie e prima ha ricordato che non riceve da nessuna delle sue società uno stipendio, poi ha tuonato "quando finiscono i soldi degli altri e poi vengono per i tuoi” e infine ha lanciato un sondaggio su twitter, il suo canale di comunicazione preferito. Se la maggioranza dei suoi follower avesse votato sì, ha promesso di liberarsi del 10% del suo pacchetto di azioni di Tesla (che ammonta al 17,2% del totale) per pagare almeno una parte delle tasse dovute. Nelle poche ore seguenti, oltre 3 milioni e mezzo di persone (sui circa 62 milioni di seguaci sulla piattaforma) hanno risposto che dovrebbe vendere.
Mossa azzeccata
La questione di tassare la ricchezza estrema - al centro del dibattito politico in questi mesi in America - non poteva non toccare anche Musk il quale si è intanto premunito con una mossa intelligente: ha trasferito la sua residenza, anche fiscale, dalla California - dove le tasse sono altissime - al Texas, uno stato estremamente conservatore dove, tra l'altro, non esiste un'imposta sul reddito. Qui si sta costruendo la seconda fabbrica americana di Tesla e qui verrà spostato - non senza polemiche - l'intero quartier generale del costruttore.
In ogni caso, Musk ha di che consolarsi: dalla sua sua ha infatti un'opzione - che scade il 13 agosto del 2022 - per acquistare 22,86 milioni di azioni a 6,24 dollari ciascuna, frutto di un precedente accordo con l'azienda di cui è ceo. Esercitarla potrebbe portare a guadagni fino circa 28 miliardi di dollari, sulla base del prezzo di chiusura di Tesla di venerdi, 1.222,09 dollari per azione.
Caduta di stile
In attesa della sua prossima mossa, il manager di origine sudafricana non ha smentito la sua fama di "duro". Quando il senatore dell'Oregon Ron Wyden ha scritto a sua volta sul social "se l'uomo più ricco del mondo paga o meno le tasse non dovrebbe dipendere dai risultati di un sondaggio su Twitter", Musk non ha trovato di meglio che insultarlo, guadagnandosi la reprimenda di parecchi utenti. Qualcuno gli ha dato del “14enne”, un altro ha scritto: “Viviamo in un mondo nel quale l’uomo più ricco del mondo ha il cervello di un 11enne e sembra essere alle prese con l’abuso di sostanze”. Insomma, il livello dello scontro si sta alzando.