Steer by wire, una tecnologia del futuro che viene dal passato. Si tratta di un nuovo modo di concepire i sistemi di comando della vettura, che prevede l’eliminazione di ogni collegamento meccanico tra le ruote e lo sterzo. Al posto di piantone e cremagliera arrivano cablaggi, attuatori, sensori e centraline elettroniche, a tutto vantaggio dello spazio a bordo, del comfort di marcia e di una maggiore integrazione con i sistemi Adas (oltre a semplificare la vita ai costruttori che devono predisporre veicoli per mercati con sensi di marcia diversi).
La prima vettura di serie dotata dello steer by wire sarà la Toyota BZ4X, il futuro suv elettrico della Casa, atteso in Europa per il 2022 (nel 2013 Infiniti ha usato questa tecnologia sulla Q50, che però era dotata anche di organi meccanici per le emergenze). In precedenza altri costruttori hanno impiegato sistemi elettrici per azionare le ruote, dando vita a prototipi che tuttavia non si sono mai trasformati in vetture di produzione. Vediamo quali sono stati i primi esperimenti.
Bmw Z22
70 e 61. Non si tratta dei cavalli ma rispettivamente del numero di innovazioni e brevetti introdotti dalla Bmw Z22 del 1999, molti dei quali presenti sulle vetture odierne. Tra questi citiamo l'head up display, lo schermo al centro della plancia comandabile con un rotore, la retrocamera, l'accensione tramite pulsante (con riconoscimento delle impronte digitali), oltre a sterzo e impianto frenante comandati elettronicamente.
Al posto del volante troviamo una cloche di ispirazione aeronautica, e nell'abitacolo scompare ogni comando fisico. Sotto il cofano un quattro cilindri da 136 cavalli con cambio CVT, mentre il pianale (in CFRP, polimeri rinforzati con fibre di carbonio, come sulle successive Bmw i3 e i8) sfruttava concetti utilizzati oggi dalle elettriche, come la posizione delle ruote agli estremi della carrozzeria. Il risultato era una vettura lunga come la Serie 3 di allora (4,47 metri), ma con il passo (2,93 metri) e l'abitabilità della Serie 7.
Bertone Filo
Presentata al Salone di Ginevra del 2001 la concept venne realizzata dall'azienda di Grugliasco con la collaborazione di Opel, che aveva fornito il propulsore 1.8 16 valvole a benzina e il pianale della prima serie di Zafira. Su questa base tecnica Bertone aveva installato un complesso sistema elettrico: la tecnologia by wire si applicava non solo allo sterzo ma anche all’acceleratore (per il quale negli anni successivi si sarebbe ampiamente affermata) e all’impianto frenante, realizzato appositamente da Brembo e SKF.
Bertone, inoltre, ottenne la collaborazione di aziende molto note nel settore dell'elettronica, come Nokia e Bose. Per il funzionamento della concept erano stati impiegati diversi chilometri di cavi e per far fronte all'elevato fabbisogno elettrico erano state inserite delle batterie supplementari nella zona posteriore. Il design non passò in secondo piano: Bertone diede vita a una linea slanciata e molto aerodinamica, con il frontale completamente carenato.
Gm Hy-Wire
Nella Hy-Wire (2003) General Motors concentra tutti i suoi studi sulle alimentazioni a idrogeno, sull’elettrotecnica e sulle piattaforme modulari. La concept era mossa da un sistema a celle a combustibile che alimentava un motore elettrico da 130 cavalli di potenza, con un picco di 175 cavalli. L’idrogeno era stivato in serbatoi perfettamente integrati all’interno del pianale, spesso circa 30 centimetri, così come il sistema fuel cell e l’unità elettrica. Di conseguenza, la piattaforma di base era simile a quelle che oggi vengono definite architetture "skateboard", e come queste consentiva di dare vita a svariati formati di carrozzeria.
Per massimizzare lo spazio a bordo, inoltre, al centro della plancia era posizionato un joystick che sostituiva acceleratore, freno e sterzo, e che poteva essere raggiunto da entrambi i sedili anteriori. La carrozzeria era spigolosa e di tipo crossover – un incrocio tra suv, berlina e monovolume – con un grande parabrezza che garantiva una visibilità ottimale e piccole telecamere al posto degli specchietti retrovisori.
Audi A2 Concept
L’Audi A2 Concept venne presentata al Salone di Francoforte del 2011 e secondo i piani della Casa si sarebbe dovuta trasformare presto in un modello reale. Rappresentava la seconda generazione dell’omonima monovolume compatta, dotata esclusivamente di powertrain 100% elettrico e intenzionata a fare concorrenza alla coetanea Bmw i3 Concept (che a differenza dell’Audi diede vita effettivamente a una vettura di produzione).
Della prima A2 manteneva la costruzione estremamente leggera grazie a materiali nobili utilizzati per il telaio (la vettura pesava solo 1.150 chili, un ottimo valore per un’elettrica) e le dimensioni da segmento B (lunghezza di 3,8 metri). A spingerla c’era un motore da 116 cavalli alimentato da una batteria agli ioni di litio da 31 chilowattora, per un’autonomia di circa 200 chilometri.
Il tutto completato da soluzioni innovative, come la tecnologia by wire per sterzo e freni, il tetto in vetro oscurabile tramite un pulsante e il particolare sistema di illuminazione, che metteva in comunicazione i fari anteriori e posteriori attraverso una linea luminosa sulla fiancata. Anni dopo la moda delle strisce a led per le elettriche sarebbe rimasta, ma cambiando dimensione: estendendosi non più in lunghezza bensì in larghezza.