Ultimo aggiornamento  30 marzo 2023 03:56

Le auto del Giro.

Edoardo Nastri ·

Staccarsi, difendersi, stare nel gruppo o andare in aiuto a un compagno. Come nel mondo delle corse automobilistiche, anche nel ciclismo ci sono gli ordini di squadra. Le strategie di gara partono sempre dalle vetture che sono a pochi metri dai corridori stessi. Gianni Brera, storica penna del giornalismo sportivo italiano, le ha battezzate “ammiraglie”. “L’ammiraglia è la centralina della squadra, da qui partono i comandi preziosi al corridore”, diceva Brera.

Sulle grandi vetture che seguono la gara viaggiano direttori sportivi, tecnici, meccanici e spesso anche giornalisti. All’interno oggi ci sono dei piccoli televisori da cui è possibile guardare nel dettaglio tutta la competizione e i corridori sono collegati via radio al team di supporto. Una volta, invece, l’unica via di comunicazione era la voce: l’autista trovava uno spazio, accelerava e raggiungeva il diretto interessato. 

Vetrina importante

Per le Case auto, il Giro d’Italia è sempre stato una vetrina importante. Dove portare i propri modelli più significativi e modificati per l’occasione, spesso in cabriolet o comunque dotati di tetto apribile. Così è accaduto per la Fiat 1100 Tv Trasformabile utilizzata dalla squadra Gazzola nel 1960. E per la Bianchi S9, l’ammiraglia che ha seguito Fausto Coppi in ogni competizione. A guidarla è sempre stato Gino Oriani che l’aveva battezzata la “Checca” per via delle modifiche fatte alla carrozzeria: “L’ho chiamata così perché era stata completamente denudata: via il tettuccio e  le portiere per salire e scendere velocemente, cambiare le ruote e ripartire subito”, ricordava in un’intervista. Oriani ha seguito Coppi per ogni strada d’Italia. Sulla S9 c’erano con lui il meccanico De Grandi, "che chiamavamo Pinza d’Oro”, il direttore sportivo Giovanni Tragella e spesso un ospite, di solito un giornalista. 

Italiane e straniere

Le modifiche alla S9 la rendevano più leggera, ma la vettura aveva già un motore potente, 1.400 di cilindrata. Quando Coppi distanziava il gruppo, Oriani accelerava e si metteva dietro di lui senza mai mollarlo. I testa a testa spesso avvenivano non solo tra i corridori, ma anche tra ammiraglie di team avversari: “Una volta Eberardo Pavesi – il direttore sportivo della Legnano – voleva superarci. L’ho chiuso fino a quando ha colpito il bordo della strada perdendo una ruota. Non potevo certo lasciare andare il mio uomo”.

Sono tante le vetture che hanno seguito il Giro d’Italia negli anni, straniere comprese, dando all’evento un respiro ancora più internazionale. Tra le straniere più significative la Peugeot 203 (nella foto di apertura), mentre nel nostro Paese le più amate sono state le Alfa Romeo. Una delle prime è stata la 6C 2500 Freccia d’oro, una gigantesca coupé rossa. Di grande effetto l’Alfa Romeo 1900 Super gialla, utilizzata dalla squadra Ghigi dal 1958 al 1962: i tecnici di Arese, dopo aver eliminato il tetto, decisero di montare due rollbar per proteggere gli occupanti in caso di ribaltamento. Sulla Giulia invece erano stati installati due grandi maniglie esterne sopra al parabrezza, che permettevano ai direttori di sporgersi al massimo per parlare all’orecchio dei campioni. 

Le Fiat 

Anche Fiat ha dato il suo contributo, dalla 1300 Cabriolet alla 1400, dalla 1500 alla Dino Coupé, dalla berlina 130 fino alla più recente Croma. Le vetture dedicate al “Giro” non erano sempre quelle ideali per macinare chilometri, come nell’edizione del 1976 quando la 131 Abarth con a bordo il direttore di gara Vincenzo Torriani ne percorse ben 4.161. Chi viaggiava sulle ammiraglie non poteva mai fermarsi, neanche per fare pipì. Nella Bianchi S9 di Coppi si poteva usare una bottiglietta, collegata a un tubo che si infilava in un foro della carrozzeria e scaricava i liquidi. Per Oriani è stata “una delle invenzioni migliori di sempre”.

Articolo pubblicato su l'Automobile n.29 - Maggio 2019

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