L'Alfa Romeo 33 Stradale era un'auto speciale, destinata a entrare nella storia del motorismo mondiale. Questa vocazione apparve chiara sin dal suo esordio: era il 1967 quando, a margine del Gp d'Italia di Formula 1 all'Autodromo di Monza, il designer Franco Scaglione presentava la versione omologata per la circolazione su strada della Tipo 33, una vettura dallo stile unico che sotto il cofano portava tutta l'esperienza nelle corse del costruttore.
La Casa di Arese aveva grandi progetti per quella che sarebbe presto diventata un'icona a motore. Dei 18 esemplari assemblati dalla Carrozzeria Marazzi di Milano, gli ultimi sei lì destinò alle cure delle carrozzerie italiane allora di punta, Bertone, Italdesign e Pininfarina: ognuna di esse, ciascuna col proprio stile, diede vita a una concept car da sogno.
Il “coleottero” di Gandini
Il primo a proporre un’idea è stato Marcello Gandini per Bertone con la Carabo del 1968. Il genio del designer torinese opera una trasformazione: le curve dell'originale cedono il posto a linee spezzate con angoli retti che confluiscono in un inconfondibile profilo cuneiforme. Il primo di una lunga serie.
Ma il frontale appuntito non è il solo motivo per cui la versione dell'atelier piemontese è rimasta impressa nella mente degli appassionati. Fra gli altri ci sono il riferimento al mondo dei coleotteri - da cui venne pescato il nome, derivato dal termine scientifico “Carabus Auratus” - nella tinta verde luminescente, i vetri dorati a specchio e le portiere con apertura verticale a forbice. Sperimentazione al massimo livello.
Quando Pininfarina mise le ali
Circa tre settimane dopo la presentazione della Carabo, dai laboratori Pininfarina usciva la P33 Roadster, diretta verso il Salone Internazionale dell'Automobile di Torino. Un altro progetto di rottura rispetto ai canoni del tempo. Paolo Martin, autore – fra l'altro - della Ferrari 512S Modulo, aveva fatto di quella vettura un laboratorio di idee: linee sinuose e rette si alternano con armonia dal frontale a cuneo fino alla coda squadrata. A seguire, tante soluzioni mai viste prima di allora, con una in particolare a destare curiosità, l'ampio alettone posteriore tinto di arancione, in netto contrasto col bianco della carrozzeria.
Della “dream car” oggi restano solo alcune immagini, a colori e in bianco e nero, oltre ai bozzetti e a un modello in scala in legno realizzato da Paolo Martin.
Cinquanta anni di “Cuneo”
Se la P33 Roadster è l'unica delle sei concept a non essere arrivata fino ai giorni nostri è perché fu utilizzata come base per quella che sarebbe poi rinata sotto il nome di “P/33 Cuneo” in occasione del Salone di Bruxelles del 1971. Esattamente cinquanta anni fa. Dell'originale riprese la linea cuneiforme bassa e affilata, l'abbinamento di colore bianco/arancione, il paraurti a tutta larghezza e la striscia di fari anteriori.
Il filo rosso
Alla Pininfarina spettò un altro telaio. Questa volta, però, a dirigere i lavori è Leonardo Fioravanti che un anno prima aveva realizzato la Ferrari 250 Berlinetta Speciale P5. Nel 1969, il progetto della Rossa e quello dell'Alfa Romeo insieme diedero vita al “Prototipo speciale”, la più tondeggiante del gruppo. Le linee sono infatti quelle della Ferrari P5 adattate sull'autotelaio della 33 Stradale a cui si aggiungono numerosi ritocchi estetici, più o meno profondi: dalle forme che restano sinuose a una colorazione di un giallo molto acceso, diverso però da quello tipico della Ferrari, fino ai fari a scomparsa e il cofano anteriore apribile sul pozzetto.
Il futuro secondo Bertone
Anche Bertone ebbe modo di lavorare su un secondo telaio della 33 Stradale, affidandosi ancora una volta alla matita di Marcello Gandini. È così che nasce l'Alfa Romeo Navajo, su cui il connubio di stile e tecnica viene portato all'estremo. Restano il profilo curvo e le linee spezzate, mentre tutto il resto subisce un profondo cambiamento. Ma ciò che all'epoca fece spalancare gli occhi era una fanaleria che scompariva all’interno dei parafanghi e l'enorme alettone posteriore che si inclinava al variare della velocità.
L'Iguana di Giugiaro
Nel 1969, un solo anno dopo la fondazione dell'Italdesign, Giorgetto Giugiaro si cimentò nella realizzazione della Iguana, una reinterpretazione in stile supercar anni sessanta della Tipo 33 da corsa di Alfa Romeo. La coniugazione, però, era tutta al futuro: la carrozzeria bassa e affilata aveva dei pannelli tinti di un grigio metallizzato “metal-flake”, con i tipici grandi fiocchi metallici delle vernici in voga all’epoca. Altre parti fra cui tetto e montanti erano invece rifiniti in acciaio spazzolato. Futuristica e futuribile, con le sue linee e un cuore sportivo 2.0 V8 da 220 cavalli, ha ispirato icone come la Maserati Bora del 1971, sempre firmata da Italdesign.
Tutti questi prototipi fanno sognare. Ma - con l'eccezione della P33 Roadster - si possono anche vedere davvero. Per farlo è sufficiente recarsi al Museo Storico Alfa Romeo di Arese.