La rottura si consuma in un momento magico per la Ferrari. Nel 1961 le Rosse hanno conquistato il Mondiale di Formula 1 con Phil Hill e nelle categorie Sport fanno il bello e il cattivo tempo imponendosi a Le Mans e in tutte le gare più importanti. Ma all’interno dell’azienda il clima è difficile, con il protagonismo della moglie del Drake, Laura, che causa scontri aperti e il successivo licenziamento di dirigenti dalle grandi responsabilità in vari settori, come Romolo Tavoni in prima linea sui circuiti. La solidarietà provoca così l'addio anche dei due tecnici principali artefici delle vetture vittoriose, Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini.
Nuova avventura
Sono queste le premesse che portano alla nascita della ATS, Automobili Turismo e Sport, creata dai transfughi e stimolati dall’industriale e pilota Massimo Leto di Priolo. Con il concorso finanziario di Giorgio Billi, azionista di maggioranza, Giovanni Volpi, già patron della scuderia Serenissima, e Jaime Ortiz Patino, conosciuto come il “re dello stagno”. Obiettivo primario della nuova compagine la Formula 1, per realizzare una monoposto da affidare allo stesso Phil Hill e a Giancarlo Baghetti con la direzione sportiva di Tavoni.
Chiti e Bizzarrini però, volendo fornire maggiore sostegno all’impresa, si impegnano nell’ulteriore progetto di una granturismo impostata secondo uno schema allora decisamente d’avanguardia per un modello di serie: motore in posizione posteriore-centrale, seguendo la tendenza ormai prevalente nel mondo delle competizioni e in netto anticipo rispetto alla futura, rivoluzionaria Lamborghini Miura.
Artigianato di alto livello
Debutta quindi al Salone di Ginevra del 1963 la ATS 2500 GT, coupé due posti allestita dalla carrozzeria torinese Allemano sul raffinato disegno di Franco Scaglione. Bassa (1,18 metri), compatta (4,33 metri di lunghezza), caratterizzata dai fari anteriori carenati e da un grande lunotto apribile di accesso alla meccanica, la vettura si distingue nello stile dalle dirette avversarie, come la Maserati 3500 GT o la Ferrari 250 GT, più classiche nei tratti. Curati artigianalmente gli interni, dai rivestimenti in pelle al volante con corona in legno, e spazio sufficiente a non sacrificare troppo il comfort.
Il telaio, a traliccio tubolare, ospita componenti studiate all’insegna delle alte prestazioni e della guida sportiva in senso puro. L’8 cilindri a V di 90 gradi 2,5 litri in alluminio e carter secco, doppio albero a camme e quattro carburatori Weber doppio corpo (optional l’iniezione), offre 220 cavalli e il cambio è uno ZF a 5 marce. Sospensioni tutte indipendenti a quadrilateri, freni a disco servoassistiti e possibilità di montare il differenziale autobloccante, completano un quadro che rende evidente la vocazione dell’auto. Confermata dai 245 chilometri orari di velocità massima e da un temperamento ai vertici della categoria. La nuova coupé viene proposta inoltre nella versione GTS, dedicata ai clienti che vogliono partecipare alle gare, con scocca in alluminio e peso ridotto ad appena 750 chili, pneumatici maggiorati e potenza elevata a 260 cavalli per 255 chilometri orari.
Avventura in F1
Alla passione e alle indubbie capacità tecniche non corrispondono, d’altra parte, buoni risultati concreti. L’avventura in Formula 1 si limita ad apparizioni di semplice testimonianza nel Campionato del 1963 (miglior piazzamento l’undicesimo posto di Hill a Monza), quando la Ferrari si dimostra invece ancora competitiva e nelle classi inferiori domina con i prototipi e con la mitica 250 GTO, lascito proprio di Chiti e Bizzarrini. Non ha maggiore fortuna la 2500 GT, prodotta soltanto in una decina di esemplari nonostante un prezzo, intorno ai 5 milioni di lire, competitivo in confronto alle concorrenti.
Nelle difficoltà il sodalizio entra in crisi e i contrasti fra i finanziatori mettono la parola fine al coraggioso tentativo. Volpi proseguirà nella gestione della sua scuderia fino al 1970, mentre Bizzarrini sarà protagonista di belle e tormentate iniziative successive. Chiti fonderà l’Autodelta, sotto l’egida dell’Alfa Romeo di Giuseppe Luraghi, promotore a sua volta di una proposta di acquisto, senza esito positivo, dell’ATS. Il marchio comunque sopravvive, con incerte evoluzioni proprietarie, ma tornerà a siglare un paio di supercar, che non faranno storia, solo dopo una cinquantina d’anni.