Cambio della guardia per un'altra casa automobilistica giapponese. Osamu Suzuki, il 91enne presidente ed ex ceo del costruttore omonimo - ruolo ricoperto per 22 anni fino al momento in cui non fu costretto a un passo indietro a seguito di uno scandalo sulle emissioni e consumi dei veicoli – si ritirerà dal suo incarico il prossimo giugno, lasciando l’intera azienda nelle mani del figlio Toshihiro, che ricopre già la carica di presidente esecutivo.
Osamu – entrato nella società nel 1958 - rimarrà comunque come “senior adviser”. La notizia arriva a poca distanza da quella del ritiro di un altro top manager dell’industria auto giapponese - Takahiro Hachigo di Honda – che lascia l’incarico all’attuale capo del settore ricerca e sviluppo, Toshihiro Mibe.
Una vita per il marchio
Osamu Matsuda –nato a Gero nella prefettura di Gigu nel 1930 - aveva assunto al momento del matrimonio con Shoko, nipote del fondatore del marchio automobilistico, il cognome Suzuki, appartenente alla famiglia della moglie: una pratica piuttosto diffusa in Giappone e che aveva sancito la sua designazione alla guida della compagnia.
Sotto di lui il costruttore – che aveva iniziato a produrre vetture subito prima della Seconda guerra mondiale e due ruote immediatamente dopo il conflitto - ha adottato una politica di espansione del marchio in tutta l’area asiatica, dalla Thailandia, dove Suzuki aprì il suo primo stabilimento all’estero nel 1967, fino all’India e all’Indonesia, comprendendo anche i Paesi australi con lo sbarco in Nuova Zelanda nel 1984.
Tra i momenti più memorabili della sua presidenza, la lunghissima – oltre quattro anni – battaglia legale con Volkswagen. I tedeschi avevano acquistato il 19,9% delle quote del costruttore giapponese – che era stato in precedenza anche nell’orbita di General Motors - per 1,7 miliardi di euro nel 2010 ma Osamu Suzuki aveva da subito mal digerito l’ingombrante presenza e il decisionismo in particolare dell’allora capo del gruppo di Wolfsburg, Martin Winterkorn il quale, a sua volta, aveva pubblicamente preannunciato che sarebbe stata la “generazione successiva dei manager giapponesi” a lavorare insieme a Volkswagen, puntando su pensionamento del manager giapponese che, invece, arriva solo adesso. Nel frattempo nel 2015 la questione si è chiusa con la separazione definitiva delle due aziende, mentre Winterkorn è stato travolto dallo scandalo del dieselgate.
Periodo difficile
L’addio di Suzuki arriva in un momento nel quale le case automobilistiche giapponesi stanno iniziando a riprendersi dalla crisi provocata prima dalla contrazione del mercato e poi dalla pandemia di coronavirus. Suzuki conta di ottenere nell’anno fiscale – che chiude a marzo 2021 - un utile pari a 1,5 miliardi di dollari, in calo di circa un quarto rispetto all'anno precedente.
Insieme a Toyota
Per il futuro il costruttore sta lavorando a nuovi modelli a basse emissioni, sotto l'ala del colosso Toyota. Annunciata lo scorso anno, l’alleanza tra i due giapponesi si concentra sullo sviluppo congiunto di tecnologie, soprattutto nel campo della guida autonoma e dell'ibrido.
L'accordo include anche uno scambio azionario, con l’acquisizione da parte di Toyota del 4,9% del capitale di Suzuki, mentre quest’ultima si è impegnata a rilevare lo 0,2% di quota del pacchetto del partner. Dall’intesa sono nati già due modelli, Across, ibrido plug-in e il full hybrid Swayce.