Storia tormentata quella della American Motors Corporation, nata nel 1954 dall’incontro di Nash-Kelvinator e Hudson per arrivare, nel 1970, all’acquisto anche della Kaiser-Jeep. Un percorso sempre segnato dalla difficile competizione con le tre grandi statunitensi – Gm, Ford e Chrysler – tentando di differenziarsi e conquistare spazi di mercato con scelte talvolta rischiose.
Nel 1975 viene presentata la Pacer, auto assolutamente fuori dagli schemi, soprattutto per una americana. Una outsider pensata per “fare l’andatura”, come sottintende il nome, per offrire un prodotto d’avanguardia alla portata di molti e improntata a criteri del tutto innovativi nella categoria delle compact. Obiettivi: la praticità, il migliore sfruttamento dello spazio abitabile e l’economica nei consumi, valori all’epoca poco in sintonia con i parametri tradizionali delle vetture d’Oltreoceano.
Tutta una sorpresa
Non tutto però viene realizzato secondo gli iniziali propositi dei progettisti, che avevano previsto tra l’altro l’impiego di un motore rotativo Wankel e la trazione anteriore. Ma il risultato stupisce e non mancano le prerogative anche se, al momento del bilancio finale, saranno i detrattori a prevalere sui non molti estimatori.
A far discutere è anzitutto il design di Richard Teague, a dir poco anticonformista e per alcuni, ingenerosamente, proprio mal riuscito. La Pacer è una due volumi dalle forme tondeggiati e dalla lunghezza contenuta in 4,36 metri, ma larga ben 1,96, con portellone e due portiere dalle dimensioni diverse (10 centimetri in più per quella di destra allo scopo di favorire l’accesso ai posti posteriori). Estesissime le superfici vetrate, in una proporzione mai vista rispetto alle lamiere, che rendono straordinariamente luminoso un abitacolo ampio e comodo.
L’allestimento è utilitario per la versione di base e con qualche ricercatezza di tono sportivo nella X, dotata di tetto in vinile, barre sul tetto e cerchi in lega. Si aggiungeranno in seguito varianti più curate e meglio equipaggiate, oltre naturalmente alla opportunità di personalizzazione, sempre presente nei listini delle auto Usa.
Anche wagon
La retromarcia per quanto riguarda la tecnica, dopo aver abbandonato le premesse più avanzate, porta ad uno schema convenzionale a trazione posteriore, sospensioni posteriori a ponte rigido, freni a tamburo e sterzo a cremagliera, con optional dischi anteriori e servosterzo. Anche il motore disponibile inizialmente è il sei cilindri in linea 3,8 litri, di taglia bassa della AMC, da appena 90 cavalli e dalle prestazioni modeste, accoppiato a un cambio manuale a tre marce sincronizzate con possibilità di overdrive (successivamente, quattro a richiesta o in alternativa un automatico). L’insoddisfazione della clientela spinge ad adottare un 4,2 da 95 o 120 cavalli e, nel 1978, un debordante V8 da 5 litri, comunque fiacco rispetto alla cilindrata (appena 125 cavalli). Sul piatto favorevole della bilancia, invece, il comfort e in generale l’affidabile comportamento su strada.
Accolta con un discreto successo di vendite al debutto, la Pacer vedrà via via scemare rapidamente il consenso, nonostante il rafforzamento della gamma con il modello wagon dal 1977 e pur a fronte di prezzi competitivi (a partire da 3.500 dollari) e di concorrenti, come la Ford Pinto o la Chevrolet Vega, dalle caratteristiche non superiori.
In Europa sarà una fugace mosca bianca e la carriera termina già nel 1980 con circa 400mila unità prodotte. Il flop contribuirà alla crisi della AMC che, soltanto un paio di anni dopo, entrerà nell’orbita Renault e sarà poi definitivamente assorbita dalla Chrysler nel 1987.