L’ambiente è stato al centro della campagna elettorale per la rielezione del presidente degli Stati Uniti dello scorso novembre e, appena insediatosi, Joe Biden non ha perso tempo: tra i primi 17 provvedimenti d’urgenza disposti già nel primo giorno alla Casa Bianca, il 46esimo presidente Usa ha firmato la richiesta americana di tornare nel Trattato di Parigi del 2015 sul riscaldamento globale da cui il suo predecessore Donald Trump aveva ritirato il Paese ufficialmente lo scorso 4 novembre definendolo “un disastro per l’America”.
Si tratta di un primo simbolico passo verso un totale cambio di atteggiamento rispetto alla precedente amministrazione e che coinvolge in maniera particolare la mobilità. Gli Usa sono, infatti, il secondo produttore mondiale di CO2 dopo la Cina e il nuovo governo di Washington ha promesso una drastica inversione di rotta.
In questo senso si spiega la proposta Biden di investire 2mila miliardi di dollari nel più ambizioso piano al mondo (chiamato “Build Back Better”) per la transizione carbon free entro il 2050 che comprende fondi per favorire l’accelerazione verso la mobilità senza emissioni. Inoltre il neo presidente – appassionato di quattro ruote e figlio di un concessionario - ha parlato in questi mesi di costruire oltre mezzo milione di punti di ricarica per auto a batteria sul territorio nazionale finanziati anche da fondi statali e di alzare il tetto di vendite di vetture per le quali i costruttori possono chiedere una deduzione fiscale in cambio di sconti al pubblico: oggi questa soglia è ferma a 200mila vetture l’anno ma la promessa è di portarla a 600mila.
Biden ha anche garantito l’intenzione di rovesciare il “Safe”, la disposizione dell’amministrazione Trump che consentiva ai costruttori di abbattere il consumo di carburante medio delle flotte dell’1,5% entro il 2026, riportando questa cifra agli accordi dell’era Obama, con un risparmio obbligato del 5%.
Uno staff di collaboratori
Per portare avanti la rivoluzione “green” il neo presidente si affida a un team di collaboratori giovani, esperti e agguerriti. A guidarli il 38enne Pete Buttigieg, nominato segretario ai trasporti e a cui spetterà - tra gli altri impegni – di sciogliere il nodo dei gestione delle emissioni.
Altra nomina chiave quella del 44enne Michael Regan - segretario del Dipartimento per la qualità ambientale della Carolina del Nord – chiamato a dirigere l’Epa, l’ente federale per la sicurezza ambientale.
Anche due donne - Jennifer Granholm, ex governatore del Michigan e paladina della transizione verso la mobilità elettrica e Gina McCarthy, a sua volta all’Epa sotto Obama e presidente del Natural Resources Defense Council – fanno parte della squadra, rispettivamente come Segretario all’Energia e coordinatrice dell’agenda climatica interna.
Il dramma clima
Gli accordi di Parigi del 2015 non sono riusciti ancora ad avere un effetto determinante sulla situazione climatica mondiale. Si stima che le attività umane abbiano già causato circa 1 grado Celsius di riscaldamento globale e che stiano continuando ad aumentare al ritmo di circa 0,2 gradi per decennio. L'Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite ha affermato che le temperature globali potrebbero registrare una crescita da 3 a 5 gradi entro la fine di questo secolo, ben oltre il limite massimo considerato “tollerabile” per l’ambiente di 2 gradi. Gli anni dal 2015 al 2019 sono stati i cinque anni più caldi di sempre e quello dal 2010 al 2019 è stato il decennio più caldo mai registrato, sempre secondo l'agenzia Onu.
Il progetto di ricerca mondiale Climate Action Tracker concorda sul fatto che le politiche e gli impegni attuali potrebbero lasciare il pianeta "ben al di sopra" dell'obiettivo di temperatura a lungo termine" previsto dall'accordo di Parigi e questo nonostante lo sforzo di tutti, Stati Uniti compresi. Secondo gli studiosi, serve un cambio di passo deciso e immediato per evitare che il mondo sia diretto verso estinzioni "estese" delle specie, gravi danni alle colture e aumenti irreversibili del livello del mare.