Anno 1986: Roma si ricopriva di un’insolita coltre di neve, in primavera i libici, per ritorsione al bombardamento subito dagli Usa di Ronald Reagan, lanciarono missili SS1-Scud verso una postazione Nato a Lampedusa, senza colpire i bersagli. Nello stesso anno “Take on me” degli A-ha impazzava nelle programmazioni musicali radiotelevisive. Quell’anno va però ricordato perché Honda inaugurò una nuova categoria di moto, le “sport tourer”.
Sul mercato il marchio giapponese lanciò la VFR 750 F – la primissima versione era contraddistinta dalla sigla RC 24 - una moto che combinava dotazioni e prestazioni da sportiva pura con l’ergonomia di una più comoda motocicletta turistica. Così, se Fred Merkel, il futuro bi-campione del mondo superbike, pilotò una VFR 750 F verso il titolo "Ama", la stessa moto si poteva incontrare in autostrada, accessoriata di tutto punto, borse laterali e da serbatoio comprese. La sua estrema versatilità diede avvio a quel segmento assieme turistico e sportivo oggi allargato ai modelli entro-fuoristrada, le “travel enduro”.
Elegante e potente
La VFR 750 F aveva tutto l’aspetto di una raffinata granturismo. Sella spaziosa per due, semimanubri in posizione rialzata, sotto il vestito monocolore un esclusivo telaio doppio trave in alluminio di derivazione “racing”. Il motore era come incastonato e quel telaio fu anche definito “a diamante”. La forcella non aveva ancora gli steli rovesciati, il loro diametro misurava 37 millimetri, ma nel fodero sinistro includeva il sistema antiaffondamento in frenata, che era tanto in voga in quegli anni: quello Honda era denominato Trac, si poteva regolare in quattro diversi livelli. La sospensione posteriore Pro-link si componeva del forcellone a due bracci in alluminio scatolato e di un ammortizzatore regolabile solo nel precarico.
Altra soluzione tecnica particolarmente adoperata all’epoca, anch’essa derivata dal mondo delle corse, fu l’accoppiata 16–18, rispettivamente misure in pollici delle ruote anteriore e posteriore. La VFR RC 24 non fu da meno, la ruota davanti più piccola migliorava indubbiamente l’agilità ma, su tutte le moto che la utilizzarono, quando, e solo, si “spingeva” forte, non era escluso imbattersi in qualche improvvisa chiusura di sterzo a centro curva. Il sistema frenante adoperava una classica terna di dischi, tutte le pinze erano flottanti e a doppio pistoncino parallelo, nelle nuove pastiglie sinterizzate vi era il 40% di materiale ceramico.
Il motore quattro cilindri a V di 90° era realizzato in lega di alluminio pressofuso. Aveva 748 centimetri cubici, la potenza era di circa 100 cavalli. Alimentato da quattro carburatori Keihin VD34, le quattro valvole per cilindro funzionavano grazie al doppio albero a camme in testa (DOHC), comandato da un’interessante cascata d’ingranaggi. La velocità massima dichiarata era di oltre 240 chilometri orari. Negli Stati Uniti, a causa degli alti consumi che caratterizzarono la serie VFR, trasformarono l’acronimo in “very frequently refueling”. In Italia costava poco meno di 11 milioni di lire. Vista l’originale qualità costruttiva, non è raro vedere ancora circolare qualche VFR 750 F RC 24.