All'età di 64 anni è venuto a mancare Paolo Rossi, ex calciatore italiano e campione del mondo con la maglia azzurra nel 1982 in Spagna. La notizia è stata data sui social dalla moglie Federica Cappelletti: "Per sempre".
Il nostro ricordo nell'articolo ripreso dal numero di Ottobre 2020 de l'Automobile.
Gloria azzurra
Quanti Paolo Rossi ci sono stati in Italia? Sicuramente tanti da riempire pagine su pagine dei vecchi elenchi telefonici. Di Paolo Rossi vero, però, ce n'è stato solo uno: quello che ha avuto il nome e il cognome congiunti dall'enfasi della sillabazione di giornalisti e tifosi che, grazie alle sue gesta, hanno potuto mettere un piede in paradiso. Come un altro mito del calcio italiano, Gigi Riva, anche lui pronunciato con nome e cognome incollati dalla gloria di una maglia azzurra diventata una seconda pelle. Solo che successe un decennio prima che Pablito, vezzeggiativo acquisito dopo la sua prima grande avventura con l'Italia al Mondiale argentino del 1978, cominciasse a occupare stabilmente le prime pagine di tutti i giornali della sua epoca.
Degli anni '80 italiani, Paolo Rossi seppe raffigurare le due facce: quella sciupata, consunta e sofferente dei primissimi tempi, quando la sua tristezza per l'assenza dai campi di gioco rifletteva le difficoltà del Paese a uscire dalla pesantezza degli anni di piombo; e quella sorridente, leggera, semplicemente felice che, iconicamente, proprio lui seppe rappresentare insieme ai suoi compagni, "eroi" di un'impresa sportiva che alla nazionale di calcio mancava da quarantaquattro anni.
Gioia mondiale
Chi fu testimone di quell'esperienza epica che furono i Mondiali di Spagna del 1982 porta con sé il ricordo di una gioia tanto grande quanto inaspettata, difficile da contenere proprio mentre Pablito faceva tre gol al Brasile con un'apparente, disarmante naturalezza. Eppure Rossi non aveva il fisico temprato degli sportivi di professione: altezza media, busto e braccia gracili, sguardo improntato a un sorriso che velava la sua timidezza, piaceva alla gente perché in fondo ne realizzava le aspirazioni più elevate facendole sembrare alla portata di tutti. In campo incarnava più le qualità di una Fiat 500 che delle potenti berline tedesche. Della regina delle utilitarie aveva le dimensioni, la grazia e l'agilità dei movimenti: sapeva sempre dove infilarsi, quale zona del campo occupare per farsi trovare pronto a fare gol, sfruttando al meglio i passaggi dei compagni o gli errori dei difensori avversari.
Della piccola Fiat aveva altresì la capacità, nonostante le misure, di far compiere lunghi viaggi ai suoi passeggeri: stipati sulle sue spalle minute, compagni di squadra e tifosi percorsero le meravigliose strade che portano alla felicità usando l'ingegno tipico degli italiani, bravi a esprimere il meglio di se stessi quando le circostanze sono più avverse.
Motore dei sogni
Come lui, che in Spagna era arrivato in condizioni di forma molto precarie e aveva giocato le prime partite come un fantasma, sollevando le critiche feroci di una stampa avvelenata: proprio quando l'ostacolo più grande e apparentemente insormontabile apparve al suo orizzonte, trovò l'energia per riaccendere il motore dei sogni, suoi e di altri milioni di connazionali. In novanta minuti tre reti al Brasile lo riportarono dalla polvere alle stelle; in una settimana, dal buio del calcio scommesse al titolo mondiale strappato a Madrid ai panzer teutonici. In quella sera dell'11 luglio 1982 Paolo Rossi fece entrare l'Italia nel mood di un decennio anomalo, fatto di voglia di rimuovere il grigiore del passato e di sentirsi ancora allegri, vincenti e magari più ricchi di prima pur senza averne sempre le possibilità.