LONDRA - Nel giorno in cui riprendono i colloqui tra il governo britannico e l’Unione europea nel tentativo di evitare una Brexit senza accordo, la Smmt (Society of Motor Manufacturers and Traders), l’associazione dei costruttori auto con interessi nel Regno Unito, lancia l’ennesimo allarme. Le Case inglesi hanno già speso 735 milioni di sterline, oltre 820 milioni di euro per prepararsi al distacco dall’Europa, 278 dei quali nel corso del 2020.
Non solo: un eventuale “no deal” – con l’inevitabile applicazione dei dazi al 10% secondo le regole del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio – peserebbe sul settore automobilistico per oltre 55 miliardi di euro nei prossimi cinque anni. Soldi che andrebbero ad aggravare una situazione già pesante, sia a causa della contrazione del mercato che per le conseguenze della pandemia da coronavirus.
“Nel momento in cui i negoziati sull’accordo di libero scambio tra Gran Bretagna e Unione europea entrano nella fase finale – ha detto Mike Hawes, ceo di Smmt – è vitale che entrambe le parti mantengano le promesse fatte e salvaguardino l’industria automobilistica. L’accordo è fondamentale, ma non può essere un accordo qualsiasi. I prodotti devono poter circolare – ora e in futuro – a tariffa zero. Un’intesa che manchi questo obiettivo vale quanto un no deal e produrrebbe effetti devastanti, con ripercussioni sui posti di lavoro e sul sogno di fare del Regno Unito - per esempio - un centro di eccellenza per la mobilità elettrica e per la produzione delle batterie”.
L’industria delle quattro ruote è uno dei pilastri dell’economia britannica con un valore complessivo stimato superiore ai 94 miliardi di euro e oltre 180mila posti di lavoro.
Farsi trovare pronti
Secondo una ricerca dell’Smmt, il 70% delle aziende ha speso cifre considerevoli per affrontare le incertezze del dopo Brexit, in particolare per garantirsi i cosiddetti Eori - Economic Operator Registration and Identification – dei codici univoci assegnati a livello comunitario da utilizzare nei rapporti con le autorità doganali europee.
Sei aziende su dieci, poi, hanno investito “significativamente” per migliorare l’immagazzinamento, mentre il 52% ha assunto degli agenti specializzati in questioni commerciali tra i vari paesi, per cercare di prevenire ogni possibile ritardo o interruzione delle catene di approvvigionamento.
"Non ci possiamo permettere altri ritardi"
Ma, nonostante le misure attuate, la Smmt ripete che sul tavolo ci sono ancora questioni critiche senza risposta. Secondo Hawes, "la competitività del settore è basata sulle consegne just-in-time, per cui le aziende non possono permettersi ritardi. Serve quindi chiarezza assoluta sul funzionamento tecnico dei nuovi sistemi doganali chiave come il Goods Vehicle Movement Service (Gvms) e il Permission to Progress (P2P), parti integranti di un eventuale accordo”.
"Inoltre - dicono ancora alla Smmt - anche se Regno Unito e Unione europea chiudessero un'intesa di libero scambio valida dalla fine del 2020, rimane l’incertezza su come le imprese potranno dimostrare l’origine dei prodotti. Se non riusciranno a farlo non potranno beneficiare di condizioni commerciali preferenziali. Nessuna preparazione può mitigare l'impatto devastante del "no deal", o di un accordo incompleto o insoddisfacente”.
I costruttori ricordano infine come ogni ulteriore aggravio si aggiungerebbe all'impatto della crisi del coronavirus, che sta già costando al settore britannico "oltre 390 miliardi di euro di mancate vendite".