Le auto elettriche – o meglio la lentezza con cui si stanno diffondendo negli Usa e i ritardi dell'industria americana anche nel settore delle batterie, in particolare delle materie prime - metterebbero a rischio la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, costringendoli a dipendere dalla Cina. E proprio come per il social network basato su brevi filmati spiritosi arrivato dalla Repubblica Popolare Tik Tok – apparentemente innocuo ma anch'esso accusato di tramare contro l'America e capace di suscitare le ire del presidente Trump che sta tentando in ogni modo di impedirne l’uso – c’è chi pensa di correre ai ripari, contrapponendosi all’aggressiva politica economica di Pechino anche nel settore delle quattro ruote.
Al coro preoccupato di analisti e uomini d’affari si sono uniti recentemente anche i consulenti del Pentagono della Securing America’s Future Energy o più semplicemente Safe (che guarda caso significa sicurezza): gli Usa non possono dipendere da potenze straniere per accompagnare il processo di elettrificazione, dicono gli esperti che lavorano per l'esercito. E avvertono che non bisogna ricadere negli stessi errori del passato, quando la necessità di importare petrolio da altri Paesi, per muovere persone e cose, ha rischiato di destabilizzare l'America e il suo stile di vita. Basti pensare alla crisi nei rifornimenti del 1973 o a quella successiva alle tensioni con l'Iran dopo la presa degli ostaggi nell'ambasciata Usa a Teheran tra il 1979 e il 1981.
Numeri impietosi
A far riflettere sono soprattutto i numeri. Nella Repubblica Popolare – secondo i dati dell’istituto di consulenza strategica McKinsey di Chicago – nel 2019 sono state vendute 1,2 milioni di auto elettriche, quasi tutte di produzione nazionale. Negli Usa appena 320mila. Non solo: i cinesi non nascondono di avere l’intenzione di allargare il proprio mercato anche al di fuori dei confini, come testimonia lo sbarco in Europa delle prime auto della Xpeng Motors. Proprio gli europei – che stanno lavorando molto per la transizione elettrica, grazie soprattutto a una politica comunitaria condivisa che ha sancito limiti molto stringenti sulle emissioni e agli accordi per costruirsi gli accumulatori in casa - sono visti a loro volta dai consulenti Usa come una possibile (pure se più lontana) minaccia.
Il timore più comune è che – arroccata sulle proprie posizioni storiche e aggrappata ai tradizionali pickup che consumano benzina come se piovesse – Detroit, culla delle quattro ruote a stelle e strisce, finisca per rimanere (ancora più) indietro rispetto al resto dei costruttori mondiali. Dovendosi a quel punto accontentare solo di una piccola fetta di mercato. Con ricadute sui livelli produttivi e quindi sull’occupazione già messa in crisi dal calo globale delle vendite e dal coronavirus. Altro che "Make America Great Again", come dice il presidente Trump.
Il problema batterie
L’aspetto che toglie il sonno a chi si occupa di questi scenari è soprattutto quello delle batterie e dei componenti – spesso rari e preziosi – che esse contengono. Anche qui i numeri parlano chiaro. Secondo la Benchmark Mineral Intelligence – agenzia di Londra che studia in particolare lo sviluppo degli accumulatori – nel 2019 la Cina ha prodotto il 72% delle batterie agli ioni di litio del mondo, gli Usa solo il 9%. E la distanza – dice il fondatore dell’agenzia Simon Moores – è destinata a crescere. “La Cina mette in piedi praticamente una gigafactory alla settimana. Ma non solo ha creato una rete incredibile di fabbriche per accumulatori, possiede anche una formidabile catena di rifornimento per farle funzionare. Basti pensare che dispone di solo il 23% dei materiali grezzi utili per costruire gli accumulatori ma arriva all’80% degli elementi chimici che li compongono, il 66% dei catodi, l’82% degli anodi”.
Da qui soprattutto nasce l'urgenza dell'appello di quelli di Safe: per poter avanzare lungo la strada della elettrificazione, l’America deve darsi una catena di rifornimenti di materie prime più corposa e sicura e soprattutto pienamente nelle mani degli stessi statunitensi.
L’asso nella manica
Secondo gli analisti, comunque, l’America, ha un asso nella manica: Elon Musk. E’ vero che per ora la sua Tesla costruisce accumulatori e vetture anche in Cina (e presto lo farà pure in Europa) e vende le auto 100% elettriche soprattutto nel Paese asiatico, il più grande mercato del mondo, ma è vero anche che il magnate di origine sudafricana ha già da tempo indicato la strada per gli americani: serve disporre di più materie prime per produrre molti più accumulatori sul proprio territorio, insomma serve l’indipendenza, in particolare dai cinesi. Proprio come dicono dal Pentagono. E poi è necessario costruire nuove fabbriche (come sta facendo lui, la prossima sarà a Austin, Texas) e gigafactory così da far tornare l’industria americana al ruolo di traino della economia mondiale che aveva nel secolo scorso. Per questo obiettivo, però, l’imprenditorialità sfrontata del ceo di Tesla non basta: serve l’aiuto della politica.
Si decide il 3 novembre
La questione delle posizioni politiche, però, è parecchio complicata, in particolare se si guarda a quelle del presidente in carica Donald Trump. Uno che non ha mai nascosto di non credere molto al riscaldamento globale, che non ama le fughe in avanti come la decisione della California di bandire le auto ad alimentazione tradizionale dal 2035 e ha da sempre parteggiato per i combustibili fossili (anche se ha detto che Musk era un genio). Con le elezioni presidenziali ormai alle porte il rischio di fermarsi su posizioni filo-petrolio e perdere ancora il treno della competitività nel settore dell’innovazione è reale.
Meglio andrebbe – in teoria – se alla Casa Bianca il 3 novembre prossimo venisse eletto il democratico Joe Biden, ex vice di Obama, che aveva elargito i primi veri incentivi all’auto a batteria negli Usa. Biden non nega il problema ambientale e ha già promesso di adottare una forma di “Green Deal” che faciliti la transizione verso una mobilità più amica della terra. Una mano tesa verso Tesla: eppure i blogger intorno a Musk non amano il senatore del Delaware e – sotto sotto – sembrano preferire che a Washington rimanga ancora Trump.
Ma – che si tratti di brevi video da condividere con gli amici o di industria a quattro ruote - la Cina non aspetta.