Quarant’anni sempre in pole position, con la terza generazione ancora al vertice delle vendite in Italia e punto di riferimento a livello europeo nella sua categoria. La Fiat Panda ha saputo restare al passo con i tempi, a partire dal primo modello nato dalla volontà di ripensare il concetto di utilitaria, di rimettere mano ad un pilastro della gamma della Casa torinese, anche rinnovando i contenuti della sua cultura automobilistica.
Alla metà degli anni Settanta la gloriosa 500 è uscita dai listini e l’erede 126, pur accolta con discreto favore, ne rappresenta una non troppo entusiasmante evoluzione. Si sente dunque la necessità di andare oltre, di proporre una vettura economica dai connotati profondamente diversi, capace di allargare l’orizzonte verso una clientela che vuole qualcosa di più in termini soprattutto di spazio e versatilità. Il momento in realtà non è dei migliori per la Fiat, che sta affrontando una stagione di transizione manageriale e conflitti sindacali. Alla guida c’è – per breve tempo – l’amministratore delegato Carlo De Benedetti, mentre l’area tecnica è in fase di riassetto dopo il pensionamento dello storico responsabile Dante Giacosa.
L’intero progetto, dalla forma della carrozzeria alla ingegnerizzazione, viene così affidato per la prima volta all’esterno dell’azienda, coinvolgendo la Italdesign di Giorgetto Giugiaro. Dal lavoro compiuto in piena estate 1976 prende corpo una proposta decisamente anticonformista che non sarà però De Benedetti a ratificare. Dimissionario dopo solo 100 giorni, lascia il posto a Nicola Tufarelli che darà il consenso per proseguire nella realizzazione della nuova utilitaria. E se la semplicità, che significa tra l’altro contenimento dei costi produttivi, non è sempre facile da ottenere, Giugiaro riesce a conciliare scelte minimaliste e risparmio con qualità funzionali che faranno scuola. Non manca l’ispirazione a modelli francesi, come la Citroën 2CV o la Renault 4, ma la piccola Fiat saprà brillare di luce propria.
Due versioni, 30 e 45
Svelata al Salone di Ginevra del 1980, la Panda (nome che prevale su Rustica e Zero) è un concentrato di razionalità creativa in una veste simpaticamente priva di fronzoli. All’esterno, i tratti squadrati formati da lamiere il più possibile lisce e vetri piatti, agevolano il montaggio e sono accompagnati da soluzioni essenziali come i pulsanti per aprire le due portiere e il portellone posteriore o il tergicristallo monobraccio. Una vernice antigraffio nella parte inferiore delle fiancate fa inoltre da corollario protettivo ai paraurti in resina.
L’abitacolo è straordinariamente ampio in confronto agli appena 3,38 metri di lunghezza dell’auto e si può trasformare grazie ai sedili amovibili, rivestiti in tessuto plastificato lavabile, fino ad ottenere la capienza di un furgoncino. La plancia è un praticissimo marsupio, accompagnato da tasche rigide laterali. La ruota di scorta è nel vano motore che accoglie il bicilindrico 650 raffreddato ad aria da 30 cavalli derivato dalla 126 o il quattro cilindri 900 da 45 cavalli della 127. Minime le differenze di allestimento tra le due versioni, ma la 45 è decisamente più vivace nelle prestazioni e tocca i 140 di velocità massima. Le altre caratteristiche tecniche puntano sull’affidabilità: trazione anteriore, sospensioni posteriori a balestre, freni a disco anteriori e cambio a quattro marce.
4,5 milioni di esemplari
Lo sviluppo del progetto proseguirà ininterrotto per ben 23 anni e 4,5 milioni di unità prodotte, migliorando costantemente la Panda, senza alterare la filosofia di base e con modesti restyling. Sarà arricchita negli equipaggiamenti, i motori cresceranno un po’ di cilindrata con l’adozione dei moderni Fire e si aggiungeranno varianti come la 4x4 in grado di emulare le Jeep, la diesel e perfino una elettrica. Nel 2003 arriverà la seconda serie firmata da Bertone e nel 2012 la terza, adeguata a tempi in cui la parola utilitaria è ormai tabù.