Gli anni Settanta hanno sancito la nascita di auto da sogno. In Europa con Lamborghini Countach, Lancia Stratos e l'Alfa Romeo Montreal; negli Stati Uniti con la seconda generazione della Ford Mustang; in Giappone con le “Z Car” nate dalla matita di Yoshihiko Matsuo, designer recentemente scomparso all'età di 86 anni. Sua è la Datsun 240 Z, la sportiva che dal 1970 al 1979 è stata commercializzata con questo nome fuori dal Pease del Sol Levante dove, invece, è conosciuta come Nissan Fairlady Z (Nissan acquisisce il marchio Datsun nel 1934).
Nome diverso, stessa sostanza. Nasce con l'esigenza di offrire un’alternativa più economica alle supercar europee, senza però dover rinunciare a un’estetica sportiva e alle prestazioni. La 240 Z ha migliorato la percezione delle auto sportive giapponesi entrando nella storia al fianco delle connazionali Skyline GT-R, Corolla AE86, Mazda RX-7 e Honda NS.
Il designer rivoluzionario
In fatto di carattere rivoluzionario, si potrebbe dire che la sportiva abbia ripreso tutto dal padre. Yoshihiko Matsuo, sin dai primi passi mossi in Nissan come giovane designer, ha la tendenza a mettere in discussione i suoi superiori, assumendo un atteggiamento in forte contrasto con la rigida cultura aziendale giapponese. Ma dietro quel carattere un po' spigoloso iniziano a delinearsi i tratti di un genio destinato a fare la differenza. Uno degli episodi più celebri risale agli inizi degli anni '60 quando Nissan incarica Pininfarina di progettare la berlina Bluebird 411.
Davanti al prodotto finale, Matsuo storce il naso in presenza del suo superiore sconcertato per come disdegnasse l'opera di un artista di caratura mondiale come l'italiano. Ma i numeri danno ragione al giovane designer, la 411 non fa breccia nel mercato. A quel punto, la dirigenza lo incarica di risolvere la situazione. Matsuo accoglie il guanto di sfida e corregge i difetti che, a parer suo, non valorizzano l'auto. “Sembrava più qualcuno accovacciato sul water", dirà più tardi della linea rivolta verso il basso del posteriore.
Modifica quindi la carrozzeria e aggiunge un tachimetro circolare, sedili anatomici e un nuovo carburatore, un intervento che andava ben oltre il suo ruolo di designer. Il team di ingegneri di Nissan approvano tutte le modifiche e la nuova Bluebird 411 Sss (super sport sedan) diventa un successo commerciale.
La forza dell'idea
Da lì l'ascesa. Matsuo si rende subito conto del divario fra la produzione occidentale e quella nazionale di auto sportive. Al Giappone serve un'auto gran turismo spaziosa, con un tetto solido come la Ferrari 250 Gto o la Jaguar E-Type ma economica e quindi accessibile a tutti. Ancora una volta sovverte le gerarchie: i progettisti, solitamente, non propongono auto nuove. La proposta solleva lo sgomento dei dirigenti Nissan che, però, non lo fermano. Nascono i primi bozzetti, i modelli in argilla e vengono condotti i test di aerodinamica sebbene con modelli in scala dal momento che Nissan non dispone di una galleria del vento a grandezza naturale. La coupé prende vita.
Dal Giappone agli Stati Uniti
Il progetto incontra il favore di Yutaka Katayama - capo Nissan negli Stati Uniti conosciuto anche come “Mr. K” - che crede in Matsuo e nella sua visione rivoluzionaria. “Mi prendo la piena responsabilità. Posso sicuramente vendere questa macchina”, dice il manager. La 240 Z approda oltreoceano con dimensioni maggiorate per adattarsi al guidatore americano medio e con un sei cilindri in linea da 2,4 litri in grado di erogare 150 cavalli e di far raggiungere all’auto una velocità superiore ai 200 chilometri orari.
Cifre di tutto rispetto per quegli anni che vanno ad aggiungersi a quelle del mercato: nel 1971 vengono vendute 45 mila unità, oltre 50 mila nel '72 e 40 mila nel '73. L'idea rivoluzionaria di Matsuo era appena entrata nella storia.