Ultimo aggiornamento  21 marzo 2023 08:06

Volvo Tundra, storia di una bocciatura.

Paolo Odinzov ·

La storia della Volvo Tundra è curiosa e controversa e ricorda per certi aspetti la favola del Brutto Anatroccolo di Andersen. La vettura fu disegnata sul finire degli anni 70 da Marcello Gandini, allora alle dipendenze della Bertone, con l’idea di farne un modello di rottura capace di rendere lo stile della Casa svedese dell’epoca meno serioso e più futuristico.

Presentata al Salone di Ginevra

Alla presentazione al Salone di Ginevra del 1979, la Tundra risultò fin troppo all’avanguardia nelle forme, al punto che i vertici di Göteborg la bocciarono e non ne vollero sapere di trasformarla in un’auto di serie. Mangiandosi però poi le mani qualche tempo dopo: la stessa auto venne ripresa dalla Citroën per fare da ispirazione alla BX, modello che nel 1982 sostituì con successo la più anziana GSA.

Derivata nello stile dalla Reliant FW11 del 1977, anche questa realizzata dalla Bertone, la Volvo Tundra era un prototipo funzionante basato sullo stesso pianale della Volvo 343, dalla quale riprendeva il motore 4 cilindri 1.4 litri da 70 cavalli, collegato alle ruote posteriori tramite un cambio a 4 marce.

Linee spigolose

L'auto aveva una carrozzeria a due volumi, caratterizzata nell’aspetto dalle linee spigolose e soluzioni d’effetto come il grande lunotto posteriore oscurato che fungeva portellone. Anche all’interno prevaleva uno stile futuristico. La plancia, con un volante aeronautico, era composta da diversi schermi colorati, mentre la sottile leva del cambio, con un'impugnatura squadrata, sembrava ripresa dalla manetta di un jet.

Così diventò un cigno

La “trasformazione” in Citroën BX comportò sulla Tundra diversi cambiamenti, soprattutto nella meccanica dove vennero adottate delle sospensioni idropneumatiche, oltre alla trazione anteriore. Il design rimase però fedele alla impostazione originale e la scelta non fu sbagliata visto che la BX conquistò nei suoi 12 anni di vita oltre 2 milioni di clienti nel mondo. Il “brutto anatroccolo” si rivelò un cigno.

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