Sugli altari e fortemente in crescita dopo il lancio, nel 1966, della Miura, un’autentica rivoluzione nel campo delle granturismo ad altissime prestazioni, la Lamborghini vive invece, all’inizio degli anni Settanta, una fase molto difficile. I problemi causati da minori commesse nella vendita di trattori, attività originaria e d’importante sostegno a quella automobilistica dell’azienda, oltre alle spese sostenute per l’ampliamento dello stabilimento di Sant’Agata nel periodo d’espansione, portano a cedere, in due tempi, le quote azionarie agli imprenditori svizzeri Rossetti e Leimer. Lo stesso patron Ferruccio inizia il suo progressivo disimpegno, fino all’abbandono nel 1973 quando arriva anche la crisi energetica, per dedicarsi all’agricoltura e alla produzione del vino battezzato, orgoglioso omaggio, “Sangue di Miura”.
Linea a cuneo
E’ in questo quadro complesso che, comunque, la Lamborghini riesce a far nascere nuovi modelli, fra i quali proprio l’erede della sua mitica granturismo. Nel 1971 al Salone di Ginevra debutta la LP 500 Countach, in forma di prototipo e dallo stile estremo, frutto sempre della matita di Marcello Gandini della Bertone che sceglie soluzioni da dream car: linea a cuneo quasi perfetto, porte che si aprono ribaltandosi in avanti con vetri divisi a metà, lunotto ridottissimo e una sorta di periscopio per guardare dal retrovisore, assetto di guida da auto da corsa e strumentazione digitale.
Il motore, come da sigla in posizione longitudinale-posteriore diversa da quella della Miura, è un cinque litri da 440 cavalli, evoluzione del classico dodici cilindri a V Lamborghini. Per la prima volta, poi, non si utilizza il nome di una razza di tori, ma una esclamazione di meraviglia in dialetto piemontese espressa, si narra, da un dipendente della carrozzeria Bertone di Grugliasco che appena la vide disse: "Contacc!".
Nuovi orizzonti
Dopo due anni, Ginevra ospita una evoluzione quasi definitiva e nel 1974, senza Ferruccio e nel pieno della pesante contrazione di mercato per la categoria, il modello di serie con numerose modifiche rispetto al prototipo.
La sigla è LP 400 e il motore è tornato il V12 quattro litri ampiamente collaudato con potenza di 375 cavalli, mentre l’aspetto esterno è meno “pulito” e, se si può, ancora più aggressivo, con l’aggiunta di gigantesche prese d’aria, mentre all’interno l’allestimento è più tradizionale. Fra le caratteristiche: telaio tubolare, utilizzo di materiali compositi, sospensioni indipendenti a quadrilateri, cambio a cinque marce rivolto verso l’abitacolo e differenziale autobloccante. Le prestazioni dichiarate sono al top: 315 chilometri orari di velocità massima e 0-100 in 5,6 secondi, per un prezzo intorno ai venti milioni di lire, superiore a quello della diretta rivale Ferrari BB. Il comportamento su strada, alla cui messa a punto si è dedicato con perizia lo storico collaudatore neozelandese delle Lambo Bob Wallace, è sulla linea di confine con le vetture da competizione e richiede mani esperte.
Sviluppi progressivi
Nonostante il susseguirsi delle traversie aziendali, con il rischio di chiusura e il salvataggio nel 1980 grazie ai fratelli francesi Mimran fino alla cessione alla Chrysler nel 1987, il progetto Countach prosegue nel suo sviluppo, conservando alla supercar di Sant’Agata una clientela di nicchia, affezionata alla sua personalità dagli accenti esagerati.
Nel 1978 debutta la LP 400 S, aggiornata negli assetti e con potenza di 345 cavalli. Dopo cinque anni è la volta della LP 500 S, che porta la cilindrata a 4,7 litri per tornare a 375 cavalli, e nel 1985 la vettura compie un balzo tecnico importante con la Quattrovalvole 5,2 litri da 455 cavalli. Ultimo acuto nel 1988 la Anniversary, che celebra i 25 anni della Casa ed adotta l’alimentazione ad iniezione.
La produzione cessa nel 1990, sfiorando quota 2mila unità, per lasciare il posto alla Diablo che diventerà testimone del passaggio della Lamborghini alla indonesiana MegaTech nel 1994 e di quello definitivo nel gruppo Volkswagen, sotto l’egida del marchio Audi, nel 1998.