Italia e America, due culture motoristiche spesso agli antipodi. La prima vede nel design un aspetto irrinunciabile per una vettura sportiva, la seconda privilegia la potenza dei suoi grossi motori V8. Cosa accade quando si uniscono le due filosofie? Ecco tre esempi poco conosciuti di vetture nate dalla collaborazione tra il nostro Paese e i costruttori d’oltreoceano.
Iso Grifo
Una delle vetture che ha incarnato al meglio il concetto di “muscle car all'italiana” è la Iso Grifo, realizzata dalla Iso Rivolta di Bresso, alle porte di Milano. Nel secondo dopoguerra l’azienda era diventata famosa per la microcar Isetta, ma all’inizio degli anni’60 l’imprenditore brianzolo Renzo Rivolta decide di dedicarsi alla produzione di auto sportive. All’elegante granturismo GT300, seguirà nel 1965 la più aggressiva Iso Grifo, che mira a coniugare le forme delle possenti coupé americane con quelle delle filanti berlinette sportive europee.
Lo sviluppo della parte tecnica viene affidato a Giotto Bizzarrini, ex-ingegnere di Alfa Romeo e Ferrari, mentre il design è opera del centro stile Bertone, allora diretto da un giovane Giorgetto Giugiaro. La carrozzeria italiana riesce a mettere a punto una linea americaneggiante ma senza eccessi, con la coda fastback, i doppi fari tondi e il lungo cofano, sotto il quale si cela il V8 da 5,3 litri e 350 cavalli della Chevrolet Corvette, accoppiato a un cambio automatico a quattro rapporti.
Successivamente arriverà anche l’enorme V8 427 “big block” da 7 litri e 395 cavalli. La vettura non riuscì mai a impensierire le ben più famose concorrenti a marchio Ferrari, Maserati e Lamborghini: fino al 1974 ne furono venduti solo 412 esemplari.
Qvale Mangusta
Alle origini di questa meteora del panorama automobilistico c’è una storia controversa. L’auto nasce da un’idea di Giordano Casarini, direttore tecnico della Maserati nei primi anni ’90, desideroso di realizzare una sportiva dalle linee estremamente originali, ispirata alla britannica TVR Griffith. Non essendo Maserati interessata a produrre una vettura di nicchia, Casarini trovò un interlocutore in Alejandro De Tomaso, presidente dell’omonima Casa. Il risultato fu la concept De Tomaso Biguà, presentata al Salone di Ginevra del 1996. L’auto era disegnata da Marcello Gandini e montava, come da tradizione De Tomaso, un V8 Ford (da 4,6 litri e 320 cavalli).
Dal momento che la De Tomaso non disponeva dei fondi per avviare la produzione, si fece avanti Qvale, un importatore di San Francisco che negli anni ’60 aveva introdotto in America, con gran successo, la sportiva De Tomaso Mangusta. L'azienda decise di finanziare il progetto, a patto che l’auto avesse rispolverato il nome Mangusta e fosse stata commercializzata anche negli Usa.
A causa di successivi contrasti con la De Tomaso l’accordo di finanziamento saltò, e Qvale decise di produrre in proprio l’auto, acquistando un piccolo stabilimento produttivo a Modena. Dal 1999 al 2002 la Qvale Mangusta venne prodotta in 284 unità, quasi tutte destinate al mercato americano.
Chrysler TC "by Maserati"
La Chrysler TC (Turbo Convertible) nasce dall’amicizia tra due capitani d’industria, Lee Iacocca e Alejandro De Tomaso. I due si conobbero negli anni ’70, quando l’imprenditore italo-argentino stava negoziando con la Ford, rappresentata allora da Iacocca, per la fornitura dei motori della De Tomaso Pantera. Quando Iacocca passò alla Chrysler vide nell'amico, che nel frattempo aveva acquistato la maggioranza di Maserati, un partner ideale per ridare slancio all’immagine del brand americano.
Nel 1984 i due sottoscrissero una partnership in base alla quale il costruttore d’oltreoceano acquistò il 5% di Maserati, che si sarebbe impegnata a produrre una sportiva commercializzata negli Usa con marchio Chrysler. Lee Iacocca, entusiasta, annunciò che l’auto sarebbe stata "la più bella italo-americana da quando sua madre, Antonietta Perrotta, mise piede negli States all’inizio del secolo”.
La successiva vettura, tuttavia, deluse le aspettative. Nonostante sfoggiasse come logo un tridente Maserati inserito all’interno del pentagono Chrysler, l’auto aveva ben poco della Casa modenese. Era infatti assemblata negli stabilimenti Innocenti di Milano Lambrate, su un telaio derivato da quello della Dodge Daytona a trazione anteriore, ed era spinta da un quattro cilindri 2.2 litri Chrysler, un 3.0 V6 Mitsubishi o un motore “Maserati”, il quale altro non era che il 2.2 Chrysler potenziato e assemblato a Modena, con un tridente impresso sulla testata. Complice un prezzo elevato e una linea non particolarmente originale, la Chrysler TC “by Maserati” venne venduta in 7.300 esemplari tra il 1989 e il 1991.