La pandemia di coronavirus colpisce l’economia cinese, ma lo fa con un effetto meno devastante di quanto temuto. Nella Repubblica Popolare il Prodotto interno lordo è sceso - nel primo trimestre del 2020 - del 6,8% rispetto all’anno precedente. Il peggior dato addirittura dal 1992, anche se minore rispetto alle previsioni degli analisti, per i quali si sarebbe potuto toccare il 10%.
Secondo le fonti ufficiali del governo di Pechino è ancora possibile raggiungere un obiettivo del 5% di crescita entro la fine dell'anno, a patto che il Paese - dopo settimane di totale stop - inizi a correre come prima.
L'auto prova a ripartire
Il mondo auto è in linea con questi risultati. Dopo il completo “lockdown” nazionale di febbraio che aveva portato a un crollo nella vendite delle vetture del 79%, il dato di marzo ha visto, se non altro, un significativo rallentamento della caduta: rispetto a un anno prima il calo è stato del 40,8%, che ha portato il risultato complessivo del primo trimestre 2020 a -42,4%.
Anche la produzione rispetto a marzo 2019 è scesa drammaticamente, viste le chiusure di molti impianti che si sono protratte di fatto fino agli ultimi giorni del mese: il risultato finale è -44,5% rispetto al marzo 2019. Su base trimestrale il rallentamento ha toccato il 45,2%.
Spinta alla ripresa
Il governo di Pechino scommette comunque sulla ripresa già in aprile e ha varato anche una serie di misure per sostenere la domanda in un settore che rappresenta quasi il 10% delle vendite al dettaglio del Paese. Tra i provvedimenti presi quello di prorogare fino al 2022 i sussidi e le esenzioni fiscali per gli acquisti di nuovi veicoli, un piano per l’incentivazione della diffusione di mezzi ibridi ed elettrici (si punta a produrne 1,6 milioni di unità entro la fine dell'anno) e la riduzione della pressione fiscale sulle auto di seconda mano. Allo studio anche l’introduzione di criteri più snelli per lo sdoganamento di parti e ricambi e una diversificazione su base regionale nella prevista stretta sulle emissioni.
L'Europa tifa Cina
Chi tifa per la Cina è certamente l’industria europea, a sua volta alle prese anche con il calo delle vendite nel Vecchio continente, più che dimezzate a marzo 2020 (-51,8%).
In Cina in febbraio il calo delle vendite dei brand europei ha toccato l’84,5%, secondo solo a quello delle vetture americane (89,1%) e sud coreane (-94,6%) e i dati sull’incremento delle visite negli showroom a marzo, dopo l’allentamento del lockdown, (+57%) sono soltanto parzialmente consolanti.
Intanto le fabbriche dei gruppi europei in territorio cinese hanno riaperto, dopo la chiusura forzata per l’epidemia di Covid-19. Bmw ha riavviato l’impianto di Shenyang già il 17 febbraio, così come Fca che ha confermato di aver rimesso al lavoro l’ultima settimana di marzo “il 90% dei dipendenti e il 95% dei venditori” della sua joint venture con il Guangzhou Automobile Group.
Piena funzionalità anche per Volvo che in Cina costruisce veicoli a Chengdu, Luqiao (qui è iniziata la produzione della Polestar 2) and Daqing e motori a Zhangjiakou, mentre Volkswagen ha sottolineato come la ripresa evidente nelle visite agli show room faccia presagire “un ritorno alla normalità del mercato entro poco tempo”. Dongfeng, il terzo costruttore del Paese, con sede proprio a Wuhan – epicentro del contagio - ha ricominciato l'attività nei suoi stabilimenti e negli impianti che gestisce con Psa e Renault oltre che a Honda e Nissan.