All’apparenza è solo una vecchia auto, pure piuttosto malmessa. Buona giusto per i chilometri necessari ai sogni di libertà di un adolescente. Nella realtà è uno spietato strumento di distruzione, animato da uno spirito sanguinario, dotato della capacità di auto-rigenerarsi e di una inarrestabile voglia di vendetta. E’ “Christine”, la Plymouth Fury del 1958 protagonista dell’omonimo libro dello scrittore americano Stephen King.
La storia
Il romanzo esce negli Usa nel 1983 e racconta le vicende che hanno come protagonista Arnie Cunningham, l’archetipo letterario del “ragazzo qualunque”, un diciassettenne non particolarmente bravo negli sport e nelle relazioni sociali, vittima dei bulli, poco stimato perfino dalla sua famiglia e in generale ignorato dalla società edonista che lo circonda. Arnie trova il proprio riscatto – che pagherà a un prezzo altissimo però – quando contro il parere di genitori e del suo unico amico deciderà di acquistare “Christine”. Vecchia e malconcia, la vettura si porta dietro una storia malsana, di possessione demoniaca e di violenza.
Ma ad Arnie tutto questo non interessa. Christine diventa il suo strumento di rivalsa nei confronti della società. Pur essendo digiuno di meccanica riporta l’auto allo splendore dei suoi tempi migliori. Nel farlo, a sua volta cambia, migliora il proprio aspetto fisico, acquista sicurezza, diventa spavaldo e conquista – tra tutti i pretendenti – Leigh, "la ragazza più bella del liceo”. Prende vita così un tradizionale triangolo amoroso che poi tanto tradizionale non è visto che a uno dei vertici c’è un’automobile.
Vengono in mente le parole di un altro cantore dell’America sempre in movimento, on the road, Bruce Springsteen che in una delle sue canzoni più famose (“Growin’ Up” – 1973) dice: ”Giuro, ho trovato la chiave dell’universo nel motore di una vecchia auto parcheggiata”.
Quando i bulli – per vendicarsi di Arnie che li ha denunciati e fatti espellere dalla scuola – la attaccano e la distruggono, Christine si rigenera da sola, tornando in un attimo al suo solito splendore e iniziando a dare la caccia ai suoi tormentatori. Il bravo ragazzo Arnie getta la maschera e dietro vediamo quella della follia e della vendetta. Che non può che finire in tragedia. Anzi neanche può chiudersi perché lei – Christine – non può essere fermata o distrutta neanche da un compattatore che la riduce a un cubo di lamiere informi. Il male troverà comunque la strada per tornare.
I simboli
Fin qui la storia “maledetta” di Christine. Dietro, ovviamente, c’è molto di più. Soprattutto la scelta del tipo di auto fatta dall’autore. La Plymouth Fury venne prodotta dalla divisione della Chrysler tra il 1956 e il 1978, con una interruzione tra il 1959 e il 1962. La gamma comprendeva berline, station wagon hard top e cabriolet. Tutte con motori molto potenti – all’epoca la crisi petrolifera era qualcosa che si poteva leggere al massimo in un racconto di fantascienza – e caratterizzate dalle alte “pinne” posteriori, vero marchio di fabbrica dell’epoca. Si tratta di una vettura che rappresenta l’epoca d’oro dell’industria automobilistica americana, mai come in quel periodo ottimista e in espansione.
Tempi d’oro che sono, però, passati in fretta. Non è un caso che il romanzo si svolga a cavallo tra la fine del 1978 e il 1979, proprio in uno dei momenti più neri per il mondo delle quattro ruote negli Stati Uniti e in particolare per Chrysler. A salvare il marchio sull’orlo della bancarotta – ma al prezzo di licenziamenti, tagli a salari, benefici sanitari e pensionistici per i lavoratori – arrivò Lee Iacocca che era stato fino all’anno precedente il presidente di Ford. Un solo mese dopo il suo insediamento il congresso Usa passò il “Chrysler Loan Guarantee Act” che consentiva un credito di 1,5 miliardi di dollari da parte di privati al costruttore di Auburn Hills.
L’industria - malconcia come Christine dopo essere stata abbandonata in un prato per anni - rimase in piedi, si rigenerò, ma a prezzo di grandi sacrifici, soprattutto da parte di chi non aveva nessuna colpa del suo deterioramento. Se non è un simbolo questo.
Il film
Lo stesso anno dell’uscita del libro “Christine” divenne un film grazie al regista John Carpenter che riprese una sceneggiatura messa a punto dallo stesso Stephen King. Qui, più che nel romanzo, è l’auto la protagonista: molte delle situazioni sono state semplificate – per esempio il ruolo del defunto precedente proprietario di Christine – per puntare più sul concetto di “oggetto malvagio” rispetto a quanto succede nella storia originale.
Per realizzare la pellicola vennero usate 23 diverse automobili. Le Fury di quell’anno però sono molto rare, quindi per le riprese si "truccarono" dei modelli simili, la Belvedere e la Savoy: tutte vennero fornite direttamente dal marchio Plymouth
Stephen king tornerà altre volte a parlarci di quattro ruote “spaventose”. L’ultima – per ora – nel 2002 con il romanzo “Buick 8”, dove riprenderà il concetto di “auto maledetta”, trasformandola, questa volta, in un portale verso un’altra dimensione.
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