"Ho suonato al Festival di Woodstock. Non scorderò mai il momento in cui ho visto tutte quelle persone. Centinaia di migliaia, un mare di umanità, unita in un modo unico. Mi ha toccato nel profondo". Sono le parole con cui Edgar Winter - musicista e produttore texano oggi quasi 73enne, uno dei 24 performer che salì sul palco 50 anni fa - ricorda i momenti sul palco del più grande evento musicale di tutti i tempi, andato in scena dal 15 al 18 agosto del 1969 nella zona nord dello stato di New York.
Woodstock ha cambiato molte cose, è stato forse il momento più significativo del movimento hippie, ha riunito musicisti diversissimi tra loro ma è entrato nella storia anche per altri motivi: la sua organizzazione non proprio perfetta - a cominciare dalla scelta del luogo dove svolgere il concerto - e soprattutto l'inatteso accorrere di persone, alla fine quasi mezzo milione, contribuirono a creare uno dei peggiori ingorghi della storia americana. 32 chilometri di auto ferme, molte abbandonate per giorni da spettatori che preferirono raggiungere a piedi la zona del palco.
Le auto del festival
Le foto dell'epoca raccontano di una lunghissima fila di Volkswagen Maggiolino - forse per eccellenza l'auto hippie, insieme al T1, il furgoncino del costruttore tedesco più noto con il nome di Bulli che è stato mezzo di trasporto e spesso anche casa per migliaia di figli dei fiori - ma anche di auto più squisitamente americane e che all'epoca andavano per la maggiore, soprattutto tra i giovani. Come la Ford Mustang, prodotta a partire dal 1964, equipaggiata con un motore 2,8 litri e capace di 105 cavalli di potenza. O la Dodge Charger - una delle più classiche "muscle car" a stelle e strisce, entrata in produzione nel 1966 e presentata, al momento del debutto, con lo slogan "leader of the Dodge rebellion", quasi a prefigurarne il destino tra le fangose colline di Woodstock.
Immancabile nelle foto d'epoca anche la Chevrolet Nova (chiamata anche Chevy II), un'auto - prodotta a Norwood Ohio - che per gli standard americani dell'epoca era considerata "compatta" e che nell'estate del 1969 era già alla terza edizione.
Tutti fermi
Queste a tantissime altre auto formarono un lunghissimo serpentone che, come abbiamo detto, raggiunse la lunghezza di 32 chilometri. L'ingorgo paralizzò non solo le strade intorno alla zona rurale di Bethel (curiosità, tutti conoscono quel festival come "Woodstock", una cittadina che in realtà si trova a 60 chilometri da dove si suonò) fino al cosidetto New York Thruway il sistema di autostrade che collega la Grande Mela con la parte settentrionale dello stato, raggiungendo poi Buffalo e il lago Erie.
Gli organizzatori erano stati costretti a ripiegare su quell'area - molto più lontana dall'autostrada e difficile da raggiungere - dopo il rifiuto degli abitanti della zona di Wallkill, originariamente prescelta, che era a poche miglia dal New York Thruway.
Una volta terminato l'evento - all'alba del 19 agosto 1969 con l'esibizione di Jimy Hendrix - ci vollero quasi tre giorni perché la situazione a Bethel tornasse normale.
Momento epocale
Il concerto di Woodstock non fu il primo del genere: basti citare il festival pop di Monterey (California) del 1967 dove lo stesso Hendrix terminò la sua esibizione davanti a 200mila persone dando fuoco alla sua Fender Stratocaster. Ma quello nello stato di New York è rimasto nell'immaginario collettivo come l'evento rock per antonomasia. Il set fu aperto alle 17 e 07 del 15 agosto da Richie Havens che - visto il ritardo di tutti gli altri artisti imbottigliati anche loro nel traffico - rimase sul palco per quasi tre ore.
Nei giorni successivi di esibirono tra gli altri Joan Baez, Santana, The Canned Heat, Janis Joplin, i Creedence Clearwater Revival, gli Who, Joe Cocker, The Band, Crosby, Still, Nash and Young e appunto Jimy Hendrix che rimase sul palco per due ore, fino all'alba del 19 agosto. La storia, della musica e non solo, era stata scritta.