La Royal Dutch Shell - una delle "sette sorelle" del settore petrolifero mondiale, non americana come la British Petroleum - è la prima grande compagnia a minacciare concretamente di abbandonare l’associazione Usa dei produttori di greggio (American Fuel & Petrochemical Manufacturers). Causa della clamorosa rottura - che dovrebbe diventare operativa nel 2020, secondo quanto annunciato dalla stessa Shell - sarebbero i forti disaccordi sulle politiche sul clima della amministrazione Trump.
La decisione sarebbe stata presa per mostrare agli investitori la volontà di rispettare l’adesione da parte del colosso energetico con sede all'Aja al Trattato di Parigi sul clima, firmato nel 2015 insieme ad aziende di altri 197 Paesi. L'accordo è osteggiato invece dalle potenti lobby del settore petrolifero a stelle e strisce che hanno spinto Washington a rivedere le proprie posizioni subito dopo l'elezione nel 2016 del 45esimo presidente Usa.
Lobby del petrolio
Shell ha confermato un “disallineamento totale” rispetto alle scelte dei grandi nomi del settore idrocarburi Usa che si dichiarano, per esempio, contrari all’innalzamento del prezzo del carbone e allo sviluppo di tecnologie sostenibili, due punti cardine dell'accordo di Parigi.
L’American Fuel & Petrochemical Manufacturers controlla 110 raffinerie e 229 stabilimenti petrolchimici di 300 società internazionali tra cui Chevron, Bp e Total.
Volontà chiara
Il colosso anglo-olandese, invece, aderisce al Trattato del 2015, tanto da aver inserito nel contratto dei dirigenti un bonus economico legato a diversi obiettivi da raggiungere riguardo l’abbassamento delle emissioni nocive nel processo di raffinazione del greggio.