Prima le monovolume, poi suv e crossover, hanno messo via via sempre più in ombra le station wagon, che oggi rappresentano ormai circa il 6-7 per cento del nostro mercato. Un fenomeno in sintonia con quanto accade negli altri paesi, perfino negli Stati Uniti, “inventori” e promotori di una formula che comunque, nel recente passato, non ha mancato di mietere grandi e universali consensi.
L’Italia, d’altra parte, in ambito europeo ha tardato molto ad apprezzare questo tipo di vetture, considerate per lungo tempo soprattutto mezzi da lavoro. Dalle 500 Giardiniera alle derivate dalla 1100 e dalla 124, alle numerose straniere pur presenti, il ruolo prevalente non è stato messo in discussione, almeno fino alla metà degli anni Settanta.
La svolta svedese
La svolta, da noi ma non solo, ha una protagonista che avrà un effetto di trascinamento sulla concorrenza e nelle categorie inferiori: la station wagon della serie 240 Volvo. Un’auto diventata nei fatti un archetipo, un’icona del genere, che ha saputo conquistare le clientele più varie e interclassiste, dai padri di famiglia numerosa, agli sportivi, ai single modaioli, ai manager attenti all’immagine. Siglata 245 (l’ultima cifra fa riferimento al numero delle porte), in realtà la vettura, lanciata nel 1974, nasce in continuità con altri modelli che hanno già contribuito ad identificare fortemente la Casa svedese come riferimento in materia. Un percorso iniziato con la 444 Duett del 1953 e proseguito con le versioni di Amazon e Serie 140, per arrivare appunto ad una evoluzione particolarmente riuscita.
Progettata per la sicurezza
Non è rivoluzionaria la 245, anzi è piuttosto tradizionale e conservatrice nell’impostazione tecnica (trazione posteriore, retrotreno ad assale rigido), però i suoi tratti squadrati con i monumentali paraurti fanno immediatamente percepire un impegno progettuale rivolto alla sicurezza che, sotto pelle, si traduce nei sistemi allora più avanzati di protezione “passiva”. Ulteriori prerogative, l’efficace trattamento anticorrosione della carrozzeria e la verniciatura a quattro strati, che contribuiscono alla fama di affidabilità e longevità. All’interno, la cura costruttiva senza fronzoli si sposa con un abitacolo spazioso e con un vano di carico eccezionale per volumi, con una capacità record variabile da 1.200 a 2.150 litri. La wagon Volvo, inoltre, è mastodontica nelle dimensioni (lunga oltre 4,70 metri), ma rivela un’agilità e una docilità nelle manovre insospettabili, mentre il motore, un robusto e tranquillo due litri inizialmente da 82 cavalli, consente prestazioni più che oneste.
Aumenta la potenza
Lo sviluppo del progetto porterà ad un 2.200 e all’alimentazione ad iniezione per una potenza che arriverà a 123 cavalli e ad un acuto addirittura di tono sportivo, con la Turbo del 1981 da 155 cavalli in grado di sfiorare i 200 chilometri orari. Pecca, mai risolta, i consumi elevati per tutte le versioni, che comunque non saranno troppo di ostacolo nell’ambito “premium” dove la station svedese si colloca, in particolare proprio in Italia. Il successo è tale che, nel 1989 quando la vettura è prossima al pensionamento (ne verranno prodotte complessivamente oltre 800.000) e affiancata dalla più moderna 740, viene offerta in una edizione realizzata appositamente per il nostro mercato e dall’ottimo rapporto prezzo/contenuti. Battezzata 240 Polar e poi Super Polar, con ricco allestimento completo di selleria in pelle e condizionatore, motore anche catalizzato da 109 cavalli e ABS, conquisterà ancora 15.000 clienti fino al 1993.
Anni Novanta che vedono le station wagon rappresentare il 70% delle vendite Volvo nel mondo, affermazione di indiscutibile prestigio e supremazia nel settore, oggi solo un ricordo per la casa scandinava di proprietà cinese che in primo piano nella gamma ha fatto emergere, in sintonia con le nuove tendenze, i suv delle tre serie XC.