Ultimo aggiornamento  08 giugno 2023 07:30

Peter Fonda: Take it easy, rider.

Giuseppe Cesaro ·

“Vogliamo essere liberi! Vogliamo essere liberi di fare quello che vogliamo. Vogliamo essere liberi di guidare. Vogliamo essere liberi di guidare le nostre macchine senza che la Madama ci disturbi! E vogliamo essere ‘carichi’. E vogliamo divertirci. Ed è quello che faremo. Ci divertiremo!”. Parola di “Heavenly Blues” (blues celestiale), protagonista de “I selvaggi” (“The Wild Angels”, 1966): film drammatico, che racconta visione della vita e scorribande di un gruppo di giovani biker californiani; ragazzi talmente liberi e ribelli da seminare scandalo nelle coscienze della benpensante borghesia americana di metà anni ‘60. Il film – scelto per rappresentare l’America alla Mostra del Cinema di Venezia – è tra le pellicole più significative di quel filone di “bikexploitation” (letteralmente “sfruttamento della moto”) di cui “Il selvaggio” (“The Wild One”, 1953), con Marlon Brando sembra segnare l’inizio e “Easy Rider” (1969) se non il punto più alto, certamente il più rappresentativo.

Fonda…mentali

Protagonista sia de “I selvaggi” che di “Easy Rider” è Peter Henry Fonda (New York, 23 febbraio 1940: 78 anni ieri), attore, sceneggiatore e regista statunitense: 72 film in 55 anni di attività, Golden Globe e nomination all'Oscar come miglior attore per “L'oro di Ulisse” (1997) e nomination anche per la migliore sceneggiatura originale per “Easy Rider”, di cui è stato anche produttore. Tra i molti titoli, vale la pena ricordare due curiosità: la partecipazione a “La corsa più pazza d'America” (“The Cannonball Run”, 1981), con Burt Reynolds, e a “Svalvolati on the road” (“Wild Hogs”, 2007), con John Travolta.

Peter è membro di una delle più illustri e premiate famiglie hollywoodiane: figlio di un autentico monumento della cinematografia americana come Henry Fonda (2 Oscar e 1 Golden Globe), fratello di Jane (2 Oscar, 6 Golden Globe, 1 David di Donatello e 1 Leone d’Oro) e padre di Bridget. Una fortuna, a quanto pare, non così facile da amministrare, sia nella vita (“Sembrava che non facessi che deluderli: si aspettavano che fossi diverso da Henry oppure esattamente come Henry. Non ero né l'uno né l'altro”), che sullo schermo: “Il figlio di Henry Fonda: è così che tutti mi vedevano fino all'arrivo di Easy Rider. Buon vecchio Capitan America!”.

La Lancia Aurelia vinta al gioco

Non è escluso – è vero - che nascere in una famiglia del genere possa avere anche i suoi lati negativi. Più avanti scopriremo come la vita trovi il modo di colpire duro anche quelli che ci sembrano “intoccabili”. Ma se è vero che fama e ricchezza non sempre danno la felicità, è anche vero che è assai improbabile che riescano a farlo povertà ed emarginazione. Sia come sia, una cosa è certa: non si può dire che il giovane Peter fosse un ragazzo sfortunato. E non solo per i natali. A 17 anni, ad esempio, grazie ad alcune vincite al Casinò di Monte Carlo, compra una Lancia Aurelia. Non è dato sapere con precisione quale modello. Supponendo, però, che si trattasse dell’ultima uscita (una delle 371 prodotte tra inizio 1957 e fine 1958), staremmo parlando della B24S: decappottabile, 2 porte e 2 posti; 6 cilindri a V, 2.451,31cm³, 112 cavalli, velocità massima 175 km/h. Un vero gioiello di spider, non a caso considerata una delle più belle auto mai costruite. “Quando vedi una Aurelia B24 – diceva Franco Martinengo, direttore del Centro Stile Pininfarina dal ‘52 al ’72 - non ti basta guardarla: avresti voglia di toccarla”.

Vita spericolata

“Era davvero una bella macchina”, conferma Fonda. “L’ho spedita in America e l’ho guidata per un po’. Poi però l’ho venduta a un vero maniaco dell’Aurelia che mi ha fatto un’offerta pazzesca. E poi non volevo spiegare come avevo fatto a comprarmi una macchina come quella. Non volevo confessare a mio padre che avevo giocato d’azzardo!”. Fin qui la storia. Quello che non tutti sanno, però, è che, pochi anni più tardi, sarà proprio la Lancia Aurelia de “Il sorpasso” (il film di Dino Risi del 1962, con Vittorio Gassman e Jean Louis-Trintignant) a ispirare a Peter Fonda e Dennis Hopper (co-protagonista e regista del film) tema e titolo di “Easy Rider”. In America, infatti, “Il sorpasso” era uscito come “The Easy Life”: “La bella vita”. Una vita facile e agiata ovviamente ma anche piena di eccessi. “Spericolata”, insomma, per dirla con Vasco Rossi. “Avevamo la nostra arte, la nostra poesia, le nostre canzoni, il nostro abbigliamento, il nostro atteggiamento: tutte quelle cose erano nostre, non appartenevano alla vecchia generazione... Cosa non avevamo? Non avevamo il nostro film. ‘Easy Rider’ ha riempito il vuoto”: è così che Fonda Jr. spiega le ragioni del clamoroso (e inaspettato) successo di una pellicola diventata simbolo di un’era e cult per ben più di una generazione.

Il “Maggiolino” del ‘57

La prima auto “ufficiale” di “Capitan America” (il personaggio di “Easy Rider”, ovviamente, non l’eroe dei fumetti Marvel), invece, è un Maggiolino Volkswagen del ’57. “Me l’aveva regalata mio padre”, ha ricordato Fonda in un’intervista di qualche anno fa. “Era l’ideale per l’università. Con pochi spiccioli di benzina andava dappertutto: perfetta per un ragazzo che non aveva nemmeno la paghetta. Mi sembrava una piccola auto super-fantastica, anche se non amavo il fatto che non ci fossero né radio né indicatore della benzina e che mi prendessero in giro perché guidavo una macchina che nessuno aveva mai visto prima”.

MG TF 1500 Midget

Qualche tempo dopo, Fonda si libererà del Maggiolino, scambiandolo – “stupidamente”, riconoscerà poi - con una MG TF 1500: una roadster decappottabile, due porte e due posti, prodotta in poco meno di 10mila esemplari tra l’ottobre del 1953 e l’aprile del 1954. 1.466 centimetri cubici, 63 cavalli, la Midget (“nana”) impiegava 18 secondi a passare da 0 a 100 e superava di poco i 130 km/h di velocità massima. “L'impianto elettrico era andato - dopotutto era un'auto inglese, e non ci puoi fare affidamento: soprattutto in quegli anni - aveva le sospensioni anteriori indipendenti, e ogni volta che passavi sopra un ramoscello sembrava che stessi saltando su un tronco. A parte questo, però, era una gran bella macchina: veramente ‘cool’”.

Non dirlo a papà

Nel garage personale di Capitan America c’è stato (e c’è ancora) di tutto. Tutto, tranne auto qualunque, ovviamente. Senza contare che non si sa quante Ferrari abbia distrutto – alcune insieme a Roger Vadim (il regista francese sposato con Jane Fonda dal ’65 al ’73) – durante i lunghi eccessi della sua “easy life”. Tutte follie documentate in “Don’t tell Dad” (“Non dirlo a papà”), autobiografia senza reticenze, pubblicata a fine anni Novanta. Tra le supercar preferite, l’imponente Facel Vega HK 500 (una luxury francese prodotta in meno di 500 esemplari tra 1958 e 1961: V8 Chrysler, 6.286cm³, 360 cavalli, 225.3km/h), la splendida Mercedes 300SL “Ali di gabbiano” del 1954 (prodotta in 1.400 esemplari tra ‘54 e ‘57: 6 cilindri in linea, 2.996cm³, 215 cavalli, velocità massima compresa tra 220 e 258 km/h - a seconda del “rapporto al ponte” – da 0 a 100 in 10 secondi: l’auto di serie più veloce al mondo della sua generazione), l’elegante Buick Riviera 1964 (V8 16 valvole, 6.970cm³, 340 cavalli, da 0 a 100 in 8.9 secondi, 200 km all’ora di velocità massima) e la travolgente Ferrari 360 Modena (8 cilindri a V, 3.586cm3, 400 cavalli, 295 km/h e accelerazione da 0 a 100 in 4,5 secondi). A chi gli chiede quali auto gli manchino, risponde: “Una Scarab ‘58 (una delle più belle americane da corsa di sempre: propulsore Chevrolet Corvette 8V, 5,555 cm3, 440 cavalli, 272 km/h, da 0 a 100 in 4.2 secondi; nel ‘58 sconfisse scuderie prestigiose come Ferrari e Jaguar, ndr.) e una Testa Rossa”. “Ma la verità – aggiunge - è che rivorrei tutte le auto che ho avuto e ho venduto.”

Ribelle a due ruote

C’è una passione, però, che, per Peter Fonda, è cominciata ancora prima di quella per le quattro ruote: quella per le due ruote. È nata quando era poco più di un ragazzo, come gesto di autodeterminazione ma, soprattutto, di ribellione nei confronti dell’autorità del padre, che non voleva vederlo in sella a una moto. Il nodo padre-figlio, però, era ben più profondo di così. Quasi nessuno lo ricorda ma, quando Peter aveva solo dieci anni, sua madre - Frances Ford Seymour – si tolse la vita, nell’ospedale psichiatrico nel quale era stata ricoverata in seguito a una crisi depressiva scatenata dalla richiesta di divorzio.

La donna (che soffriva da tempo di disturbi psichici, probabile eredità di abusi sessuali subiti da bambina) non aveva retto al colpo e si era tagliata la gola nel giorno del suo 42esimo compleanno. Meno di un anno dopo, Henry Fonda, si risposerà con Susan Blanchard (una ragazza di 21 anni con la quale aveva avuto una relazione), aumentando ancora la sua distanza dai suoi figli.

Peter e la sorella verranno tenuti lontani dai funerali privati, organizzati in fretta e furia, ai quali parteciperanno solo Henry Fonda e la suocera. I due bambini (10 e 12 anni) apprenderanno la verità molto tempo dopo. “Jane l'ha letto su una rivista. A me dissero che era morta per un attacco di cuore, ma non sapevo cosa volesse dire”. Il piccolo Peter rimarrà così sconvolto dalla notizia, che si sparerà un colpo di calibro 22 allo stomaco, mentre il padre e la sua nuova moglie (la terza di cinque) sono in luna di miele in Europa. “Siamo stati abbandonati”, ricorda, “non in un cassonetto, ma siamo stati abbandonati”. Il rapporto di Peter con il padre – descritto come freddo, distante e anaffettivo (“un sacco di critiche e mai una lode”) - rimarrà problematico fino alla fine. Tanto che se qualcuno, incontrando Peter, gli chiedesse “Come va, signor Fonda?”, si sentirebbe rispondere: “Peter, per favore: il signor Fonda è morto nel 1982.

La prima Harley

Una storia di dolore, distanza, freddezza e incomprensione (“Ho fatto del mio meglio per essere il figlio di Henry Fonda, senza sapere minimamente chi diavolo fosse, visto che era così chiuso”) che rende più chiara la predilezione di Peter per certi ruoli “maledetti”: “Capitan America”, “Blues Celestiale” o il un ragazzo che si avvia all’LSD di “The Trip” (“Il viaggio”, scritto da Jack Nicholson e uscito da noi come “Il serpente di fuoco, 1967). Ma soprattutto spiega il lunghissimo periodo di dipendenza da alcol e ogni genere di droga. “Non mi fido di chi non ha mai tirato”, dichiarava. Dipendenza dalla quale solo l’amore della figlia Bridget riuscirà a guarirlo. Sono proprio gli aspri contrasti col padre a spingere Peter sulle due ruote. "Lui non voleva", ricorda, e così "appena ho potuto, mi sono comprato una Harley”. Ancora una volta, c’è di mezzo il gioco. Il diciottenne Peter, infatti, acquista una Sportster usata grazie ai soldi vinti al blackjack. "È stato l'inizio: l’ho amata e non mi sono più fermato".

MV Agusta F4-1000

BMW, Bultaco, Ducati, Montesa, Triumph e Harley-Davidson, naturalmente (due Fat Boy e una Road King): Capitan America ha cavalcato davvero di tutto. Tra le sue ultime passioni, una MV Agusta F4-1000 rossa: 998cc, 166hp, quattro cilindri in linea, quattro tempi, 6 marce, 300.9 chilometri all’ora di velocità massima. "Una moto incredibile – ha dichiarato. La amo tantissimo: è velocissima, e poi non devo destreggiarmi nel traffico di Los Angeles con un manubrio troppo largo... Ho tirato questo cucciolo fino a 300 all’ora. L’ho fatto per quasi due minuti, ma non lo farò mai più. ‘Se qualcosa va storto – ho pensato - sono morto’!”.

Ogni ribelle ha le sue regole

Sebbene pare faccia ancora parte dell’Ugly Motorcycle Club - un club con due sole regole: 1, non ci sono regole; 2, devi fare almeno due inversioni a U alla settimana (“ugly” significa “brutto”, “minaccioso”, “violento”), pare che tutti questi anni non siano trascorsi invano. Il leader de “I selvaggi”, infatti, è più saggio di quanto il suo pedigree lasci immaginare. In sella, almeno. Dichiara di fermarsi ai semafori e agli stop, e di fare grandissima attenzione a tutte le macchine. “Non mi fido delle auto – spiega: sbucano da qualsiasi parte in qualsiasi momento”. “Se piove – aggiunge - non prendo la moto, ma se comincia a piovere mentre sono in moto, non mi fermo”.

Il “fattore cervo”

E dopo il tramonto? “Non giro, perché c'è il ‘fattore cervo’”. Fattore cervo? “Ho avuto un frontale con un cervo, una volta, e non voglio averne un altro. Dunque, se dopo il crepuscolo non trovo un motel, poso la moto, tiro fuori la borsa e mi metto a dormire all’aperto: non voglio prendere un altro cervo.” Da “Easy Rider” a “Take it easy”, verrebbe da commentare. Chissà cosa ne direbbe papà Henry. A proposito, pare che, poco prima di morire, abbia chiamato il figlio e gli abbia sussurrato: "Ti voglio tanto bene, ragazzo, voglio che tu lo sappia". Meglio tardi che mai. Anche se certe cose sarebbe meglio trovare il modo di dirle per tempo. Il cinema avrebbe, probabilmente, perso uno dei suoi protagonisti, ma un bambino sarebbe stato certamente felice di aver trovato suo padre.

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