“E tra... De Niro e Al Pacino?” “Ma De Niro cento volte!!!” “Ma non lo so, forse Al c'ha uno sguardo più... torbido, più ambiguo. E tra... Burt Reynolds e Robert Redford?” “Ma Burt è troppo buro! Forse meglio Redford. Me sembra un po' più tenero, più dolce”. “No, io Burt! Poi secondo me c'ha pure più sesso. Ma l'hai visto in costume da bagno che dè? È una delle poche prove dell'esistenza de Dio! Fatte servi'!”. Loro sono “Nadia” (Eleonora Giorgi) e “Valeria” (Isa Gallinelli) e il dialogo è tratto da una delle scene-cult di “Borotalco”, il film (1982) con il quale Carlo Verdone fa incetta di premi: 5 “David di Donatello”; 2 “Nastro d'argento”; “Montreal World Film Festival” e “Grolla d’oro”.
Campione d'incassi
Già, ma chi era questo “troppo buro” Burt? Era – ed è ancora - Burton Leon “Burt” Reynolds (Lansing – Michigan, 11 febbraio 1936: 82 anni domani), 100 film in quasi 60 anni di attività (1961-2008), alcuni dei quali, anche se pochi lo ricordano, diretti da firme del calibro di Robert Aldrich, Woody Allen, Robert Altman, Peter Bogdanovich, Mel Brooks, Blake Edwards e Don Siegel. Sebbene Reynolds non possa essere annoverato tra quegli attori le cui interpretazioni hanno reso immortale il cinema americano, è un fatto che, per almeno un decennio, è stato tra i nomi che hanno fatto registrare i più grandi incassi al botteghino. Il suo nome, infatti, è il 12esimo tra le “Money Maker Stars” di sempre (le stelle che fanno incassare di più) di Quigley, nella cui Top10 è presente, ininterrottamente, dal ‘73 all’84. Non solo: se si contano gli anni consecutivi di permanenza al numero 1, Reynolds è primo a pari merito con Bing Crosby. Cinque anni ciascuno: dal ’78 al ’82 il primo, dal ‘44 al ‘48, il secondo. Meglio di loro solo Tom Cruise: 7 primi posti, ma non consecutivi, dal 1983 al 2005. Cinque volte non consecutive in vetta, invece, per Clint Eastwood e Tom Hanks. Tutti gli altri, sono dietro.
Incidente fatale
Niente male per un ragazzino del Michigan il cui futuro avrebbe dovuto giocarsi sui campi di football. La vita, però, sceglie per lui una parte diversa. Dopo il liceo, grazie a una borsa di studio sportiva, Burton viene ammesso alla Florida State University, nella cui squadra di football comincia a mettersi in luce. All’inizio del secondo anno, durante la prima partita della stagione, subisce un brutto infortunio al ginocchio. Per fortuna, riesce a riprendere il campionato. Poco tempo dopo, però, perde la milza e compromette anche l’altro ginocchio in un brutto incidente d’auto. Uno sfortunato uno-due che mette ko il suo sogno sportivo. Burton comincia, allora, a pensare di seguire le orme del padre e diventare un ufficiale di Polizia. L’uomo, però, gli suggerisce di finire l’università. Deciderà dopo. Oltre che saggio, il consiglio paterno si rivela fortunato. Il professore d’inglese sente il ragazzo leggere Shakespeare in classe e lo spinge a fare un provino per un’opera teatrale che sta mettendo in scena. Il provino funziona, il giovane ottiene il ruolo da protagonista e la sua performance gli vale il “Florida State Drama Award”. Il premio consiste in una borsa di studio per la Hyde Park Playhouse, di New York. Burton vola nella “Grande mela”, ottiene le prime recensioni positive e incontra Joanne Woodward (che un paio d’anni più tardi diventerà la moglie di Paul Newman) che lo aiuta a trovare un agente. È il 1956 e Reynolds ha vent’anni. Il resto è storia.
Polvere e altare
La sua migliore prova d’attore, è considerata l’interpretazione del regista di film porno Jack Horner in “Boogie Nights – l’Altra Hollywood” (1997), che vale a Reynolds un Golden Globe e una nomination agli Oscar come Miglior attore non protagonista. All’estremo opposto, invece, due pellicole che gli portano altrettanti “Razzie Award” (i premi “pernacchia” riservati ai peggior attori dell’anno): “Un piedipiatti e mezzo” (’93) diretto da Henry Winkler (il “Fonzie” televisivo), e “Striptease” (’96), per il quale lui e Demi Moore, vengono premiati come “peggiore coppia”. Tra le interpretazioni più famose e apprezzate, invece, il ruolo di Lewis Medlock nell’inquietante “Un tranquillo weekend di paura” (1973), recitato al fianco di Jon Voight, e quello di Paul Crewe - ex campione di football finito in galera - che, con una raccogliticcia squadra di detenuti, affronta le guardie in un match senza esclusione di colpi in “Quella sporca ultima meta” (1974).
A Bandit che fugge Pontiac d’oro
Il film, però, che rende Reynolds una vera e propria star e che è tutt’ora considerato uno dei cult più cult d’America è “Il Bandito e la Madama" (1977). Bo “Bandit” Darville è un contrabbandiere che - per soldi (80mila dollari) ma, soprattutto, per il gusto – accetta una sfida praticamente impossibile: trasportare, in sole 28 ore, 400 casse di birra dal Texas alla Georgia. Il film, ispirato alla “Cannonball Run” (una delle più famose corse illegali della storia degli States) vede il “Bandito”, al volante di una Pontiac Firebird Trans-Am MY nera e oro, farsi beffe della Polizia di ben cinque stati (Texas, Arkansas, Alabama, Mississippi e Georgia) e anche dell’implacabile sceriffo Buford T. Justice. Definito da Playboy il "Via col vento” di questo genere di film, con 127 milioni di dollari al botteghino, “Il Bandito e la Madama" diventa il secondo film campione di incassi del 1977, dopo "Star Wars".
Una Trans-Am l’anno
Il successo della pellicola è talmente grande, che la Pontiac vede schizzare al cielo (+70%) il valore delle sue azioni. Per dimostrare il proprio apprezzamento al protagonista, il presidente del marchio di Detroit decide di regalagli una Trans-Am nuova all’anno. “Per un po’ l’hanno fatto davvero – racconta Reynolds. Dopo tre o quattro anni, però, hanno smesso. E senza nemmeno un biglietto di ringraziamento: niente. E così ho telefonato per capire cosa fosse successo. Hanno detto che la Pontiac aveva un nuovo presidente e che al nuovo presidente non piacevano i miei film!”
Reynolds comincia presto a subire il fascino di muscle car e guida “sportiva” ma, come figlio di poliziotto, non può certo comportarsi come il “bandito” del suo film. Senza considerare che la famiglia non può permettersi quel genere di spese. “La nostra macchina era una Buick di seconda mano – ha ricordato qualche anno fa. Ho speso parte di quello che ho guadagnato con “Navajo Joe” (il secondo film di Reynolds: un western del 1966 firmato dal nostro Sergio Corbucci, Ndr.) per comprare la mia prima auto nuova di zecca: una Mercedes 230 SL che ho fatto venire dall’Europa. Nel corso degli anni, poi, ho avuto diverse ‘Caddy’ e anche una Rolls. La mia preferita in assoluto, però, è una T-Bird del 1955”.
Come dargli torto. Del resto, che il ragazzo avesse le idee chiare lo si era già capito nel ’69. Il “Bandito”, dopo soli due o tre film, aveva rifiutato di interpretare uno dei personaggi più amati dell’intera storia della cinematografia mondiale: James Bond. "Nella mia infinita saggezza – ha spiegato recentemente con ironica malinconia - dissi a Cubby Broccoli (Albert Romolo Broccoli, il leggendario produttore della serie, Ndr.) che un americano non poteva interpretare Bond: dev’essere un inglese! Bond? Naah: non ce la posso fare! Hanno provato a convincermi, ma, alla fine, se ne sono andati. Ogni notte mi sveglio in preda ai sudori freddi.” Nessun dubbio, caro Burt. Del resto, avere le idee chiare, non significa mica che siano anche giuste.