Dopo il rinvio dello scorso novembre, a San Francisco è iniziata l’udienza che mette di fronte i due colossi della Silicon Valley, mai come oggi divisi anche dal punto di vista legale. La querelle riguarda un presunto caso di spionaggio secondo il quale ci sarebbe Uber dietro il furto di 14.000 documenti riservati sottratti illegalmente dai server di Waymo.
Una spia all’interno
Stando alla versione dell’accusa, l’ingegnere Anthony Levandowski, passato dalla società di Alphabet alla dipendenze di Uber, avrebbe consegnato nelle mani dei suoi nuovi datori di lavoro i documenti che riguardavano gli studi sulla guida autonoma effettuati durante la sua permanenza in Waymo.
La difesa di Uber
D’altra parte Uber ritiene le illazioni diffamanti e prive di fondamento e, a sua volta, chiede che gli vengano riconosciuti danni di immagine. Lo scontro è aperto. Waymo, secondo la difesa, non avrebbe prove sull’accaduto. All’interno di Uber, infatti, gli scambi di documenti tra i vari dipendenti avvengono mediante applicazioni che, impiegando la crittografia end to end, non lasciano alcuna traccia del passaggio nei server dedicati.
Messaggi segreti
Perché cancellare le conversazioni o renderle irreperibili? Secondo i legali di Waymo, l’ex Security Analyst di Uber Ric Jacobs avrebbe istruito il team di Pittsburgh, al lavoro sulla guida autonoma, a comunicare solo mediante applicazioni crittografate. In questo modo, chat e messaggi non sarebbero poi stati utilizzabili come prova in sede legale. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui i 14.000 documenti sottratti da Levandowski non sono mai stati rinvenuti nel sistema informatico di Uber. Waymo ritiene che siano stati utilizzati dei server esterni per raccogliere i documenti rubati e sviluppare tecnologie come LiDar, il sistema di rilevazione di oggetti a distanza. Parola al giudice.