Dal 1965 la Mini è anche italiana, frutto dell’accordo tra la Innocenti e la British Motor Corporation. Sarà un successo di mercato per la piccola vettura che, costruita anche nel nostro Paese, riesce a mettere in discussione il monopolio assoluto della Fiat nella categoria. Un successo che però non impedirà la crisi dell’azienda di Lambrate, costretta all’inizio degli anni Settanta a cedere agli inglesi la sua branca automobilistica.
Versione italiana
Nel frattempo, in patria hanno cercato di aggiornare la Mini, diventata marchio a se stante, con un modello battezzato Clubman rivisto (un po’ infelicemente) soprattutto nell’estetica, mentre in Italia la nuova proprietà, ora Leyland-Innocenti, decide di mettere in produzione una versione che, pur senza modifiche sostanziali nella meccanica, è completamente diversa nel design firmato dalla Bertone.
Viene così presentata nel 1974, al Salone di Torino, la Mini 90-120: sigle numeriche che identificano le due varianti, di 998 e 1.275 cc, dell’arcinoto, non certo all’avanguardia, quattro cilindri “aste e bilancieri” ripreso dalla vettura d’origine. Le potenze di 49 e 65 cavalli, unite alla proverbiale maneggevolezza ereditata, garantiscono comunque buone prestazioni e vivacità di comportamento alle debuttanti, che devono confrontarsi, fra le altre, con la brillante diretta concorrente l'Autobianchi A112, nata proprio per dare filo da torcere alla rivale britannica.
Più squadrata e meno rotonda
Abbandonate le forme tondeggianti a favore di più moderni tratti squadrati (la simpatia non viene meno), appena allungate di una decina di centimetri (3,12 metri) e con un pratico portellone posteriore di accesso al bagagliaio, le nuove 90-120 si distinguono tra loro per limitati particolari di allestimento e offrono un’abitabilità un po’ ridotta rispetto a quella incredibile (in rapporto alle dimensioni esterne) della Mini classica, ma in tema di allestimenti siamo sempre nell’ambito delle city-car di tono superiore.
Tanti nomi
L’accoglienza da parte del pubblico è favorevole, pur ad un prezzo base che supera i due milioni di lire, e inizia una vera e propria “avventura” che vedrà la piccola di Lambrate tenere il mare agitato di un’azienda dalle molte traversie, passata nel 1976 nelle mani dell’imprenditore italo-argentino Alejandro De Tomaso per approdare definitivamente nel gruppo Fiat all’inizio degli anni Novanta. In diciannove anni di vita produttiva, prima dell’uscita di scena nel 1993, la Mini italiana verrà dunque costantemente aggiornata, segnando svolte tecniche importanti a partire dal 1982 (la meccanica inglese viene sostituita da quella della giapponese Daihatsu, con motori a due o tre cilindri e perfino a gasolio), proposta anche con carrozzeria allungata e identificata via via con un autentico florilegio di nomi e sigle, da Mille a Minitre, da 990 a Small.