Donald Trump sta preparando una manovra poco gradita ai gruppi nazionali dell'automotive: la revisione del Nafta, l'accordo commerciale con Messico e Canada, per ottenere termini "più vantaggiosi" per gli Stati Uniti, potenziando la quota di prodotti fabbricati negli Usa. Nel mirino di Trump c'è soprattutto la produzione di veicoli e componenti, un settore in cui gli Stati Uniti hanno un pesante deficit commerciale col Messico: 74 miliardi di dollari su un totale complessivo di 63 miliardi.
Crociata anti-Messico
Costruttori di tutto il mondo hanno aperto impianti in Messico, dove trovano manodopera sufficientemente specializzata e poco costosa. I gruppi statunitensi solitamente mantengono la progettazione e l'attività di ricerca e sviluppo nell'area di Detroit, ma la manifattura e l'assemblaggio sono stati in parte trasferiti in Messico e gli accordi di libero scambio del Nafta hanno favorito questo processo. Si è però ridotta l'occupazione nelle fabbriche del Michigan e durante la campagna elettorale Trump ha promesso di riportare il lavoro negli Usa, puntando il dito contro i costruttori che fabbricano all'estero e minacciandoli di colpirli coi dazi.
La replica dei costruttori
La Alliance of Automobile Manufacturers, associazione che rappresenta il 70% dei gruppi dell'auto presenti negli Usa, da Gm, Ford e Fca a una serie di big stranieri, replica che il Nafta ha creato una catena di distribuzione integrata per il settore automotive molto efficiente, senza la quale negli Stati Uniti diminuirebbero le vendite, aumenterebbero i prezzi e si danneggerebbero l'esportazione e anche l'occupazione, perché i costruttori trasferirebbero molte più attività in paesi extra-America. In pratica: Cina e India.
Effetto boomerang
Il Nafta prevede per i partner che le auto fabbricate da aziende attive nei loro paesi abbiano componenti Made in Usa-Canada-Messico pari al 62,5% del valore del veicolo. Ciò ha favorito la competitività dell'industria americana rispetto ai concorrenti asiatici. Trump, che si metterà a un tavolo con le controparti di Messico e Canada ad agosto, potrebbe chiedere di far salire la quota al 75%: salirebbe così anche la percentuale di prodotti realizzati negli Stati Uniti. Oppure potrebbe rinegoziare solo la parte che riguarda l'industria automotive, che lo preoccupa di più, chiedendo di ridurre le importazioni dal Messico. La realtà è che la possibile replica dei costruttori potrebbe rivelarsi un boomerang per il presidente statunitense, come ha ammonito la Alliance of Automobile Manufacturers. E come dimostra la Ford, che ha già spostato in Cina parte della produzione in un primo tempo programmata per il Messico.