Non è un bel momento per Hyundai e la controllata Kia. Alle difficoltà in patria, dove una parziale liberalizzazione ha aperto le porte del mercato sudcoreano alle marche straniere, si sono aggiunte le prime battute a vuoto dopo diversi anni di crescita negli Usa e in Europa. E da ultimo le conseguenze del via libera agli Usa da parte del governo di Seoul per l’installazione sul proprio territorio di sistemi anti-missile. Una risposta alle minacce della Nord Corea che la Cina, grande protettore del regime di PyongYang, considera a sua volta come un possibile attentato alla propria sicurezza. Dunque da Pechino è partito l’ordine di boicottare le marche sudcoreane. Risultato? Un vero e proprio crollo: il sentimento anti-coreano si è tradotto per Hyundai e Kia messe insieme in un calo del 65% delle vendite in Cina nello scorso maggio (per un totale di 52.385 unità) e del 43% con 377mila immatricolazioni nei primi 5 mesi dell’anno.
Se Pechino si arrabbia...
Di boicottaggio si parla spesso più a parole che nei fatti. I cinesi, invece, fanno sul serio. Cinque anni fa, in seguito alla disputa per la sovranità su alcune isole, misero nel mirino i prodotti giapponesi, auto comprese, venduti in Cina. E per Toyota, Nissan, Honda & co. cominciò un periodo di magra da cui i costruttori del Sol levante si sono ripresi a fatica solo dopo un paio di anni. Lo stesso trattamento è stato riservato ora alle marche coreane, per le quali la Cina è da tempo il primo mercato. Già lo scorso anno Hyundai e Kia avevano patito un calo della quota di mercato all’8,1%, il minimo dal 2009. E ora viaggiano attorno al 5%.
Problemi di immagine
La disputa per i missili ha solo accelerato un calo dovuto più che altro a un problema di immagine. Soprattutto per Hyundai, che in Cina tramite le joint ventures ha cominciato a costruire auto 15 anni fa, ma è nota più che altro come costruttore di taxi (un quarto di quelli che circolano a Pechino). Un primo tentativo di affermarsi come costruttore “premium” con la berlina di lusso Genesis è andato a vuoto (le vendite sono crollate da 1.016 unità nel 2015 a 74 lo scorso anno). E ora la marca deve decidere se rilanciare con l’assemblaggio di kit della Genesis su territorio cinese, per ingraziarsi il governo e cancellare i dazi all’import, oppure limitarsi a portare avanti la già programmata apertura di uno store a proprio nome, sull’esempio di Bmw e Daimler, nell’art district della capitale. Sotto esame è anche l’ipotesi di lanciare un nuovo Suv. Kia a sua volta punta a risalire la china con la commercializzazione di un piccolo crossover, atteso sul mercato per il prossimo novembre, e forse anche della berlina sportiva Stinger.