La voglia di protezionismo sta contagiando il sindacato americano dei lavoratori del settore auto. Il presidente della United Auto Workers, Dennis Williams ha detto che la sua union sta considerando l’idea di lanciare una campagna di "buy American", che faccia da sponda agli appelli del presidente Donald Trump per un pronto ritorno dei posti di lavoro americani persi con l’outsourcing.
Difficile mediazione
Williams confessa che non tutti i proclami del presidente trovano d’accordo la base del sindacato: ad esempio il bando temporaneo all’immigrazione e il blocco dell’accettazione degli esuli siriani è impossibile da digerire per chi predica da sempre l’integrazione e la tolleranza tra i lavoratori. Ma in tema di occupazione, la questione della fuga delle fabbriche all’estero è un punto dolente, e la Uaw potrebbe decidere di rilanciare il vecchio grido del "buy American’" Vecchio, perché nella sua formulazione originaria data il 1981, quando nel cortile di una fabbrica Chrysler del Michigan gli operai della Uaw distrussero per la prima volta colpi di maglio una Toyota Camry. Si è poi visto come è finita: La Casa giapponese nell’81 vendeva mezzo milione di auto l’anno in America, oggi ne vende 200.000 al mese.
Questione di mercato
Il grido è stato ripreso ad ogni curva discendente del mercato automobilistico, che per definizione si sa ha un andamento ciclico, e quindi ha offerto numerose occasioni di clamore. L’ultima è stata quella dell’11 settembre del 2001, quando George W. Bush la riesumò con un certo successo, e poi sotto Obama nel 2010, quando il programma di rottamazione che seguì la bancarotta di Gm e di Chrysler privilegiò gli acquisti delle auto di manifattura nazionale.
Oggi come allora vale la stessa considerazione. È più americano il Lincoln Navigator della Ford (76% di componenti fatte negli Usa) o la Toyota Camry, vecchio simbolo dell’odio xenofobo, e oggi costruita con il 78,5% di forniture americane? Il sito finanziario Bankrate stila una classifica annuale illuminante sullo stato della globalizzazione, e sulla velleità delle campagne d’acquisto nazionaliste.