Ho lasciato passare qualche giorno, come forse avrebbe dovuto fare l’associazione delle Case automobilistiche in America dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. I rappresentanti dei 12 marchi più importanti hanno scritto al futuro presidente otto pagine belle fitte nelle quali contestano le scelte di Barack Obama in materia di emissioni, spiegando come i limiti di 54,5 miglia per gallone imposti alle auto per il 2025, siano troppo rigidi. Meglio prendersela comoda. E forse riservare gli investimenti destinati alla ricerca e sviluppo delle tecnologie necessarie a raggiungere l’obiettivo di Obama, a riempire la cassaforte degli azionisti.
Perché poi non mettere un cappello presidenziale (“presidential advisory committee”) sopra le attività delle varie Epa, National Highway Traffic Safety Administration, Federal Trade Commission, Federal Communications Commission, Consumer Financial Protection Bureau, … in modo da renderle mute ? Perché non delegittimare Stati come la California (e altri nove) che vorrebbero raggiungere entro il 2025, con veicoli a zero emissioni (elettrici o a idrogeno), il 15% delle immatricolazioni? Tanto più se la California ha supportato la strategia con incentivi all’acquisto e riduzione delle tasse per le più “verdi”, risorse per pochi ambientalisti che potrebbero essere destinate ad altro. E così via.
La lettera ha dell’incredibile. Non si può ritardare il futuro. Lo dobbiamo alle nuove generazioni. Piuttosto l’industria avrebbe forse dovuto chiedere a Trump più investimenti di quelli fatti dall’ormai ex presidente Obama, sulle infrastrutture di ricarica e di rifornimento (idrogeno). A Trump bisognava ricordare che non si può lasciare la costruzione di una rete di colonnine rapide solo all’impegno (e al business) di un privato come Elon Musk, patron di Tesla. A Trump si dovevano sollecitare incentivi per l’acquisto di elettriche e ibride plug-in proprio sul modello California, in grado di far decollare le vendite e avviare finalmente le economie di scala necessarie alla riduzione dei prezzi. Oppure defiscalizzare la ricerca sulle nuove tecnologie “verdi”. E molto altro.
Invece la lettera ha riproposto la vecchia immagine dell’industria automobilistica, arroccata a difendere i propri interessi e fuori dal tempo. Quella che si oppone al cambiamento, perdendo l’appuntamento con il futuro. Quella che contribuisce a far crescere il diffuso sentimento anti-auto. Speriamo ora che in Europa, a nessuno venga la brillante idea di seguire l’esempio americano.